*** Seconda Parte ***

Oltre al sistema di accudimento e di attaccamento (Leggi precedente articolo: Cosa condiziona le nostre relazioni? Attaccamento e relazioni adulte), come esseri umani, siamo dotati un terzo sistema biologico, molto importante per la nostra sopravvivenza, presente sin dalla nascita e che ci accompagna per tutta la vita, che è il sistema di difesa: si tratta di un sistema biologico più arcaico, che coinvolge l’apparato neurovegetativo e consente di mettere in atto reazioni di emergenza (attacco, fuga, svenimento e freezing) in situazioni di pericolo. Quando siamo molto piccoli le situazioni di pericolo attiveranno dapprima il sistema di attaccamento per richiedere protezione, ma se a questo non ci sarà risposta di cura da parte dell’adulto, allora l’allarme resterà così inteso da scatenare strategie di emergenza.
Ovviamente le condizioni per cui non avviene una risposta di accudimento adeguata possono essere molteplici: l’assenza dell’adulto, la trascuratezza, la difficoltà dell’adulto di sintonizzarsi con le necessità del bambino, la presenza di traumi e lutti che hanno colpito la famiglia o il contesto primario di appartenenza. E’ in queste primissime esperienze relazionali che si creeranno i presupposti dei nostri schemi adulti, che ci renderanno in grado di fidarci e affidarci a l’altro, di costruire una relazione.
Una delle condizioni più critiche per lo sviluppo in età adulta di relazioni affettive positive e soddisfacenti è l’aver vissuto durante l’infanzia in presenza di una figura di riferimento a sua volta minacciosa. In questo caso infatti il sistema di attaccamento si trova di fronte ad un paradosso da cui però dipende la propria sopravvivenza: come chiedere aiuto e conforto alla stessa persona che è fonte di pericolo ? L’esito di questo tipo di esperienze è spesso una “disorganizzazione” del sistema di attaccamento, che anche in età adulta non saprà sintonizzarsi con gli altri in modo armonico e positivo; la paura diventa emozione centrale in questa modalità di attaccamento e resta presente sia nella ricerca di intimità che nella lontananza. Il paradosso del sistema di attaccamento è risolto con il permanere di uno stato di allerta, molto costoso in termini emotivi, ma efficace nel garantire una buon percezione di controllo dell’ambiente e delle persone. Viene chiamata “fobia dell’attaccamento” e spesso è tanto più intensa quanto più il legame affettivo diventa per la persona significativo e importante.
Spesso si pensa a situazioni di violenza fisica, di abuso, di grave esplosività nel contesto familiare o di eventi avversi e traumatici che bloccano la possibilità di uno sviluppo sano e funzionale. Quello che meno spesso emerge, è che “fobia dell’attaccamento” può essere costruita giorno per giorno in contesti familiari che siamo abituati a considerare “normali ” e “sani”, ma che posso contenere elementi di minaccia meno evidenti ma altrettanto insidiosi: un clima estremamente critico e svalutante, la labilità o l’assenza di confini relazionali chiari, con poca possibilità di esprimersi come individui autonomi, o un contesto familiare percepiti come imprevedibile e incostante, rispetto alla capacità di corrispondere a bisogni affettivi importanti.
Senza entrare nel merito della psicopatologia e della diagnosi, è importante riconoscere in clinica come nella vita alcuni segnali di questa “fobia dell’attaccamento” che spesso si manifesta con comportamenti apparentemente incongruenti e irrazionali, che assumono un senso solo nel contesto relazionale in cui vengono manifestati:
–  la paura del legame viene spesso espressa con rabbia e rifiuto, allotanando l’altro e garantendo una distanza che permette di recuperare una maggiore sicurezza, controllo e autonomia;
– al contrario la paura può essere espressa con passività e arrendevolezza, mostrando totale adesioni e dipendenza con l’obiettivo di controllare l’aggressività dell’altro;
– infine la paura può comportare la fuga, l’evitamento della relazione e il ritiro.
A tutti può capitare di usare una di queste strategie in particolari situazioni o contesti di vita, ma quello che succede a chi ha costruito nel tempo una modalità relazionale basata sulla “fobia del legame” è di utilizzare tutte queste modalità in rapida successione e alternanza, mostrandosi talora incongruenti e imprevedibili a loro volta e provocando poi l’effettivo allontanamento dell’altro dalla relazione. Tutte queste modalità sono diretta espressione di un sistema di difesa molto attivo e disfunzionale, che – se non compreso e riconosciuto – rischia di inibire la possibilità di un legame affettivo sicuro basato sullo scambio, sulla fiducia e sulla condivisione emotiva.
Nessun essere umano spaventato è in grado di godere a pieno della presenza, dalla vicinanza e della sintonia dell’altro. Finché sentirà la necessità di difendersi, si difenderà rinunciando a tutto il resto.
Al prossimo contributo strategie e percorsi di cura validi per comprendere meglio questi schemi relazionali.