Resilienza e risorse personali: affrontare le negatività!

Non esistono due modi identici di reagire alla stessa situazione, positiva o negativa che sia.

Ognuno di noi arriva a quella situazione con una storia, con delle idee, emozioni e valori. Ognuno di noi ha il suo modo di chiedere o non chiedere aiuto.Ognuno di noi ha il suo modo specifico di cavarsela da solo.Ognuno di noi manifesta a suo modo agitazione e rabbia. Felicità e tristezza. Divertimento o noia. Ognuno di noi ha il suo modo particolare di restare immobile di fronte agli eventi.

Un-fiore-nella-rocciaNel tempo molti studiosi si sono occupati di studiare ed approfondire dettagliatamente i fattori che scatenano nell’uomo ferite e traumi emotivi, in tutte le età, con particolare attenzione all’infanzia. Quello che meno è stato oggetto di studio e di approfondimento è invece ciò che ci porta naturalmente a sopravvivere agli eventi negativi, a resistere, a trovare soluzioni, ad andare avanti nella vita.

La resilienza, insomma. Ma di che si tratta?

Sono state date diverse definizioni del termine “resilienza”, eccone alcune. In fisica la resilienza è la proprietà di un metallo di non spezzarsi, ma di acquistare una nuova forma dopo aver ricevuto un colpo non così forte da provocarne la rottura. Il termine resilienza comprende quindi il concetto di resistenza all’urto, di flessibilità, ma anche di malleabilità , intesa come capacità di cambiare forma, di adeguarsi alle situazioni mutevoli, di adattarsi. Nell’uomo la resilienza produce, di fronte agli stress e ai colpi della vita, risposte flessibili e funzionali che si adattano alle diverse circostanze e alle esigenze del momento, tanto che si può scoprire di avere questa qualità anche solo in un momento di emergenza, trovando dentro di sé forze innate che non si pensava di avere (Fernandez, Maslovaric 2011). Quando si parla di individui resilienti non si fa tuttavia riferimento a persone che possiedono il gene dell’invulnerabilità o dell’eroismo, ma piuttosto di persone che sono capaci di attraversare il dolore e le emozioni negative, che hanno le risorse per sentirle prima ancora che di affrontarle e che accettano la possibilità di soffrire nel presente, per trovare solo poi una soluzione positiva nel futuro.

La persona resiliente è orientata all’evoluzione, piuttosto che alla staticità a tutti i costi!

La persona resiliente conosce se stessa nelle situazioni migliori e in quelle peggiori, riconosce e accetta i propri limiti e risorse in modo sufficiente per sapere come muoversi nel mondo.

La persona resiliente ha l’inarrestabile tendenza a “salvare il salvabile”, a resistere di fronte alle avversità.

Secondo uno studio del 1999 del National Institute of Mental Health (NIMH) le caratteristiche di una persona resiliente sono: essere naturalmente socievole, coscienzioso, disponibile, emotivamente stabile e intelligente. Mentre le capacità apprese di risposta agli eventi critici che garantirebbero un buon grado di resilienza sono state identificate nella convinzione di poter influenzare gli eventi in corso e quindi di poter assumere un atteggiamento attivo e proattivo per agire in modo concreto; nella capacità di sentirsi profondamente appassionati e coinvolti nelle situazioni negative da affrontare; nel viversi come protagonista, al centro delle proprie decisioni  e con il “potere” di scegliere, nei limiti personali e ambientali, i modi per raggiungere le proprie mete.

La resilienza, come molte delle nostre capacità, non è tuttavia stabile nel tempo.

Può variare, anche molto. Può crescere o diminuire e si nutre di alcune importantissime variabili: la stima di sé, l’affetto e l’amicizia, la scoperta del senso della vita e l’impressione di poter controllare la propria esistenza (Vanistendael, 2000).

Ovviamente le caratteristiche che rendono ognuno di noi più o meno resiliente si intrecciano alle relazioni affettive della nostra vita, al contesto sociale in cui viviamo e all’esposizione a situazioni traumatiche: tutte queste variabili possono alterare molto le nostre predisposizioni caratteriali.

L’idea forse centrale nella resilienza è che queste caratteristiche possono essere recuperate, se perse, potenziate e favorite da nuove situazioni di vita, da nuove relazioni e dal nostro stesso metterci positivamente in gioco tutte le volte che ne abbiamo la possibilità.

Liberamente tratto da: “Traumi psicologici, ferite dell’anima” (2011), di Isabel fernandez, Giada Maslovaric, Miten Veniero Galvagni.

 

Cos'è l'EMDR?

L’EMDR è un approccio complesso utilizzato per elaborare eventi traumatici e consiste in una metodologia strutturata che può essere integrata nei programmi terapeutici aumentandone l’efficacia.
Il modello considera tutti gli aspetti di una esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici e vede nella patologia il “sintomo” di un’informazione immagazzinata in modo non funzionale, su tutti i livelli: cognitivo, emotivo, sensoriale e fisiologico.
Quando avviene un evento ”traumatico” l’equilibrio tra le nostre reti neurali (eccitatorie e inibitorie) viene disturbato e l’elaborazione di conseguenza resta bloccata, come “congelata” nella sua forma ansiogena originale. Questo è il modo in cui le sensazioni del passato si ripropongono come “sintomi” nel presente.
Questa metodologia si fonda su un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione accelerata dell’informazione (AIP) e utilizza movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio neuro fisiologico, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali.
I movimenti oculari saccadici e ritmici usati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo facilitano infatti la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. Nella risoluzione adattiva l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo.
Le ricerche condotte su vittime di violenze sessuali, di incidenti, di catastrofi naturali, ecc. indicano che il metodo permette una desensibilizzazione rapida nei confronti dei ricordi traumatici e una ristrutturazione cognitiva che porta a una riduzione significativa dei sintomi del paziente (stress emotivo, pensieri invadenti, ansia, flashback, incubi).
L’EMDR è usato fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente.
Queste esperienze traumatiche possono consistere in:

  • Piccoli/grandi traumi subiti nell’età  dello sviluppo
  • Eventi stressanti  nell’ambito delle esperienze comuni (lutto, malattia cronica, perdite finanziarie, conflitti coniugali, cambiamenti)
  • Eventi stressanti al di fuori dell’esperienza umana consueta quali disastri naturali (terremoti, inondazioni) o disastri provocati dall’uomo (incidenti gravi, torture, violenza)

Negli ultimi anni ci sono stati più studi e ricerche scientifiche sull’EMDR che su qualsiasi altro metodo usato per il trattamento del trauma e dei ricordi traumatici. I risultati di questi lavori hanno portato questo metodo terapeutico ad aprire una nuova dimensione nella psicoterapia. L’efficacia dell‘EMDR è stata dimostrata in tutti i tipi di trauma, sia per il Disturbo Post Traumatico da Stress che per i traumi di minore entità . Nel 1995 il Dipartimento di Psicologia Clinica dell’American Psychological Association (APA) ha condotto una ricerca per definire il grado di efficacia di questo metodo terapeutico e le conclusioni sono state che l’EMDR è non solo efficace nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico ma che ha addirittura l’indice di efficacia più alto per questa categoria diagnostica.
(Fonte: Associazione EMDR Italia )
EMDR Institute USA
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Stress post-traumatico: come riconoscerlo?

Sempre più spesso si sente parlare di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) e la sua presenza in film e telefilm è quasi sempre associata ad ambienti militari, situazioni di guerra o a grandi catastrofi naturali.

Immagine tratta dal film "Valzer con Bashir" di Ari Folman (2008)
Immagine tratta dal film “Valzer con Bashir” di Ari Folman (2008)

“(1) Aver vissuto o aver assistito a uno o più eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte o grave minaccia all’integrità fisica propria o altrui e (2) aver provato di fronte a tali eventi intensa paura, impotenza e orrore” (DSM IV) sono le due condizioni necessarie per determinare la diagnosi di disturbo da stress post-traumatico. Oltre alle guerre e alle catastrofi, vengono in mente allora molte situazioni traumatiche e spesso più frequenti nella vita quotidiana e nell’esperienza clinica: violenze, fisiche o verbali, ricevute o assistite, incidenti, aggressioni, interventi chirurgici, lutti solo per citarne alcuni.

I sintomi più celebri, nonché i più frequenti per parlare di DPTS, sono i flashback degli eventi traumatici, rivissuti nel presente in modo vivido e spesso molto realistico, tanto da sembrare vere e proprie allucinazioni. Seguono poi insonnia, incubi, irritabilità, stato costante di allerta, difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, eccessiva reattività a stimoli non pericolosi o neutri collegati in qualche modo all’evento traumatico. Tutti i “sintomi” descritti, sono in realtà NORMALI REAZIONI ad eventi traumatici che hanno in sé le caratteristiche sopra descritte, quando tuttavia compaiono per un periodo di tempo prolungato possono causare eccessivo malessere e l’assunzione di condotte invalidanti per la vita di chi ne è affetto e dei suoi familiari. Riconoscere tempestivamente i sintomi e intervenire con terapie adeguate costituiscono ovviamente elementi cruciali per una buona prognosi.

Ma continuiamo sui sintomi più frequenti per imparare a riconoscerli…

Oltre alle reazioni descritte, ce ne sono alcune meno note che mi preme descrivere, poiché molto più frequenti nell’esperienza comune di coloro che soffrono di stress post traumatico e ugualmente spaventanti, se non ri-conosciute come tali.

Senso di irrealtà: sensazione di essere in un film o in un sogno, di osservare la realtà da sotto una campana di vetro, di non essere appieno dentro al situazione, di sentirsi distaccati, disinteressati a quello che succede intorno —– spesso confuso come semplice attacco i panico, se si presenta come unico sintomo.

Reazioni fisiche intense: nausea, difficoltà di digestione, stanchezza cronica, spossatezza —– spesso confuse con malattie organiche, attacco di panico o ipocondria.

Vulnerabilità: sentirsi più esposti può determinare un pervasivo timore per il futuro o la scomparsa di interesse per attività prima considerate fondamenti della propria vita (lavoro, attività sportive, hobby..). Questi cambiamenti hanno ripercussioni relazionali anche gravi, con familiari e amici —- spesso associato a sintomi depressivi primari o ad aspetti di personalità problematici.

Pensieri intrusivi: pensieri catastrofici che arrivano improvvisamente mentre si sta lavorando o mangiando o guidando l’automobile. Sono spesso collegati all’evento traumatico vissuto, ma la loro comparsa imprevedibile li fa percepire come fuori controllo. —- spesso associato ad ansia generalizzata.

Significato della vita: spesso chi ha subito un forte trauma inizia a farsi domande sul senso della vita, sul perché esistiamo, tutto diventa incerto, tutto perde di senso e le certezze possedute sembrano irrecuperabili dopo la traumatizzazione. —- spesso associato a sintomi depressivi primari (ruminazione).

NB: Spesso i sintomi non compaiono immediatamente dopo il trauma, ma possono manifestarsi alcuni mesi dopo o talora diversi anni dopo, al presentarsi di un nuovo evento traumatico o di una situazione che riporti alla memoria l’evento del passato. Questo quadro clinico richiede ovviamente una dettagliata raccolta anamnestica ed eventualmente l’utilizzo di tecniche mirate a recuperare i ricordi antichi collegati ai problemi attuali. Una volta identificata l’origine traumatica dei sintomi, la prognosi diventa migliore grazie alle molte e validate tecniche terapeutiche (es. EMDR) ad oggi ampiamente utilizzate nella cura del DPTS.

La diagnosi e il trattamento necessitano in ogni caso dell’attenta valutazione di un clinico e in nessun modo la lettura delle informazioni fornite in questo articolo può sostituirsi alla consultazione con uno specialista. I sintomi descritti possono aiutare a leggere in modo più preciso, alcune sensazioni comuni che altrimenti possono restare incomprensibili e “spaventose” per chi si trova a viverle.

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Stress Post Traumatico e Disturbo Ossessivo: Da Dove Cominciare?

Stress Post Traumatico e Disturbo Ossessivo: un caso clinico

Un recente studio olandese (Nijdam et al, 2013) descrive il caso di un paziente con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo (DOC) ad insorgenza post traumatica; la diagnosi e le prospettive di lavoro cambiano radicalmente quando i sintomi sono reattivi ad eventi traumatici e un trattamento che ne tenga conto è più sicuro e più efficace per la remissione totale dei sintomi.

Sia nel disturbo ossessivo che nel disturbo post-traumatico c’è una tendenza al controllo, che può manifestarsi nel primo caso con rituali compulsivi e nel secondo con evitamento delle situazioni temute o con uno stato di ipervigilanza sull’ambiente. In una quadro traumatico complesso in cui si manifestano entrambe le sintomatologie, il DOC potrebbe avere la funzione adattiva di “regolare le emozioni negative” legate al trauma, cioè di ridurne l’intensità, attraverso l’uso di rituali che sono completamente sotto controllo della persona e che aiutano la mente a focalizzarsi nel presente, inibendo l’attivazione delle intrusioni e dei ricordi traumatici.
Come sempre la mente si adatta al meglio che può, è importante capire questi meccanismi di adattamento e “disinnescarli” nel presente.
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Lavorare sul trauma con l'EMDR.

Cos’è l’EMDR?

Si tratta di un metodo di lavoro che permette di lavorare sui ricordi traumatici e di ri-elaborarli in modo più funzionale, collocandoli nel proprio percorso di vita e riducendo l’effetto disturbante generalmente legato alla rievocazione del ricordo. Il processo terapeutico è caratterizzato da una prima fase di recupero dei principali eventi di vita, considerati traumatici e attualmente disturbanti, e una seconda fase di elaborazione degli elementi essenziali del ricordo in una chiave di lettura più “sana”, decentrata e priva degli effetti negativi, sul piano fisico ed affettivo, che quel evento aveva prima del trattamento.

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L’EMDR sta per Eyes Movement Desensitization and Reprocessing e si basa sulla teoria dell’Elaborazione Accellerata dell’Informazione (AIP). In breve, questo modello della mente afferma che ogni essere umano è dotato di un sistema neurologico e fisiologico che permette di elaborare le informazioni in entrata (eventi, pensieri, emozioni,..) mantenendo un equilibrio tra lo stato del sistema “prima” e “dopo” l’ingresso di quell’informazione. Questa tendenza all’equilibrio permetterebbe alla mente di andare sempre verso una risoluzione adattiva e funzionale, in cui la mente riesce ad integrare vecchie e nuove informazioni e a recuperare l’equilibrio perso. Gli elementi che si vanno ad integrare sono: esperienze, emozioni, pensieri, reazioni fisiologiche e comportamenti.

Sia le esperienza positive che quelle negative possono quindi essere affrontate ed elaborate in modo autonomo ed efficace dalla nostra mente e su tutti i livelli (fisico, emotivo, cognitivo e comportamentale). In alcuni casi, tuttavia, le reazioni  che si attivano in risposta ad un episodio traumatico faticano ad essere integrate nel sistema e si genera quello che viene definito un pattern continuo di emotività: la reazione emotiva ad un evento non dura cioè il tempo necessario ad essere elaborata in modo adattivo, ma continua a manifestarsi anche a distanza di tempo e in assenza dello stimolo che l’aveva provocata. Diventa appunto un pattern che si riattiva quando una sensazione, un pensiero o un emozione simili a quelle provate in occasione di quel unico evento traumatico, vengono ri-esperiti o rievocati.

L’emotività e le sensazioni fisiche legate a quell’evento restano come “congelate” nella rete neurale e isolate dagli altri eventi di vita, in una perpetua attivazione che difficilmente viene spenta senza un intervento terapeutico specifico. L’esempio più tipico è il Disturbo da Stress Post-Traumatico, per cui l’EMDR è il trattamento d’elezione secondo l’Evidence Based Medicine.

Quali traumi causano l’attivazione del pattern continuo di emotività?

La gravità del trauma è legata innanzitutto alla reale o soggettiva percezione di essere in pericolo di vita.

Quindi tutte le situazioni  in cui questa minaccia è stata percepita come reale, sono situazioni potenziali per sviluppare un pattern continuo di emotività disturbante. E’ questo il caso degli abusi sessuali, degli incidenti, della catastrofi naturali. Una seconda situazione è quella dei traumi ripetuti, cioè traumi soprattutto relazionali in cui non si è sperimentato un vero e proprio pericolo di vita, ma in cui una particolare emozione si sia attivata in modo frequente e disfunzionale e senza dare la possibilità di una elaborazione completa dell’evento (Es: un clima familiare molto conflittuale in cui si è assistito a frequenti e intensi litigi tra i genitori).

L’intervento attraverso l’EMDR permette innanzitutto di sciogliere questo pattern di attivazione, molto disturbante e non più utile rispetto al passato, e di aprire lo spazio per una nuova elaborazione più adattiva dell’evento traumatico.

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