Buoni propositi e procrastinazione: Buon anno!

Gennaio si sa, è un mese di buoni propositi e ritrovate speranze: il Natale è passato, l’inverno segue una svolta in positivo e nuovi progetti, diete, attività sportiva, scelte di vita, prendono piede. Per ognuno il cambiamento segue strade e forme diverse, ma nessuno sembra riuscire a tirarsi completamente indietro di fronte alla tentazione di almeno una promessa fatta tra sé e sé.

P_20161230_112638Esplorare il mondo e noi stessi con curiosità e gentilezza è l’augurio che vorrei portare avanti per tutto l’anno, provando a dedicare attenzione e presenza ad ogni azione e momento delle mie giornate.
Quali sono i vostri?
Come tenete fede alle promesse?

I buoni propositi quasi sempre implicano un cambiamento, ma ogni cambiamento è azione e agire di solito è l’ultimo anello di una catena più lunga che sarebbe importante (di nuovo!) esplorare. In alcune situazioni agire è semplice come respirare, a volte invece diventa un’azione più complessa, che mette in gioco “parti” o aspetti di noi più nascosti che possono emergere improvvisamente e remarci contro. Qui si colloca la procrastinazione, una delle forme più tipiche in cui alcune parti di noi intervengono a boicottare progetti e cambiamenti importanti. Sia chiaro: rimandare una scelta, un’azione o un impegno non è di per sé patologico, né dannoso, né tanto meno un comportamento da curare. Spesso prendersi del tempo è tanto necessario, quanto saggio.

Ma cosa succede quando ci accorgiamo di aver procrastinato a lungo qualcosa che per noi era davvero importante? Cosa ci diciamo quando il tempo passa e non riusciamo ad iniziare quello che vorremmo?

Per ognuno di noi la procrastinazione ha motivazioni e modalità differenti, ma per tutti può diventare una grande fonte di stress poiché alimenta una visione negativa di se stessi come inconcludenti, inadeguati o incapaci, quando non addirittura falliti.

Innanzitutto la procrastinazione porta ad “evitare” l’azione che vorremmo intraprendere, quindi ha spesso (ma non solo) emozioni di ansia e paura sottostanti, che la guidano. Ma paura di cosa? a volte è semplicemente paura dell’ignoto e di ciò che non si conosce, più spesso paura di fallire, o magari paura del giudizio, paura di non essere abbastanza forti, capaci o bravi, paura di non farcela, paura di sbagliare e vergogna di mostrarsi inadeguati alla promessa fatta a se stessi o agli altri. Tutte emozioni normali, ma se molto intense certamente difficili da tollerare! Accanto a queste ed altre emozioni,  possono insinuarsi nella mente idee e pensieri inflessibili, che contribuiscono ad alimentare e mantenere il comportamento di evitamento:

l’idea di dover raggiungere i propri obiettivi in pochissimo (o nessun tempo!), a volte si mostra come un vero e proprio “pensiero magico” che rende molto frustrante l’incontro con la realtà;

l’idea di non poter fallire, a volte si mostra come un pensiero “tutto o nulla” e confondiamo il “fare un errore” con l’ “essere persone sbagliate”; chi inizierebbe mai qualcosa sapendo di non poter assolutamente fallire?

l’idea di dover raggiungere risultati eccellenti, “altrimenti non vale la pena iniziare”, a volte ci pone di fronte ad alti standard che, anziché motivarci, bloccano i nostri tentativi sul nascere e ci fanno chiudere in un perfezionismo astratto e irraggiungibile;

l’idea di non essere all’altezza, di essere fragili, di non avere pregi particolari o di essere un bluff, sono infine pensieri che possono colonizzare la mente e impedirci di intraprendere una sfida o un cambiamento. A volte esperienze negative o traumatiche del passato cristallizzano nella mente un’immagine di noi stessi negativa e stereotipata, che non tiene conto delle risorse personali e della nostra complessità come esseri umani, lasciandoci fermi in “idee irrazionali” e credenze su noi stessi che non mettiamo mai davvero in discussione.

Dove impariamo tutti questi pensieri, meriterebbe un approfondimento e una riflessione più ampia e personale, ma è certo che per ognuno la strada che queste idee percorrono è diversa. La propria famiglia d’origine è spesso la culla in cui queste idee vengono alla luce e prendono spazio nella mente, ma tutte le nostre esperienze di vita successive diventano luoghi in cui possono invece evolvere, nutrirsi di nuove occasioni e magari anche di un po’ di saggezza.

Detto questo, negoziare con le nostre parti emotive più inclini alla procrastinazione è compito arduo e spesso richiede un livello di energia, fisica e mentale, che non abbiamo o che non basta a contrastare paura, vergogna e tentazione di rinunciare. Sapere però che queste “parti” hanno dei pensieri e delle emozioni, può almeno aiutarci ad aprire un tavolo di trattativa e forse a non interrompere troppo a lungo le nostre esplorazioni!

Buon 2017!

LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino

grande-bellezza-verdone-e-servilloIl vestito più bello per coprire un corpo svuotato, segretamente preoccupato di non essere all’altezza dell’abito che porta e minacciato dall’implacabile occhio degli altri, pronti a coglierlo in fallo: la grande bellezza sembra allora l’unica maschera possibile per tutti i personaggi.

Nel suo ennesimo incredibile lavoro, Sorrentino riesce di nuovo a descrivere una fetta di umanità in modo profondissimo, senza descriverla affatto.  Gli dà vita, la lascia libera di raccontarsi nel modo peggiore, ma osservandone sempre le sofferenze e contraddizioni.

Seguire Servillo mentre cammina e fuma sul lungotevere alle prime luci dell’alba e poter sentire quello che sta pensando è il vero miracolo che un bravo sceneggiatore riesce a realizzare.

Nessuna parola, solo l’intuizione nascosta dietro quei passi.

Tra la moltitudine di considerazioni possibili, mi ha colpito una caratteristica del modo che ha Sorrentino di raccontare le cose, per via forse del legame che colgo con il mio lavoro: l’ammirazione e il profondo rispetto per le storie. Il grottesco viene rappresentato continuamente a delineare l’esteriorità dei personaggi, senza però che mai il contatto emotivo con loro che lì si muovono venga meno all’attenzione di chi osserva.  Gep e i suoi amici intellettuali, sembrano rappresentare un gruppo di “sfumature”, di possibili reazioni al tirannico terrore di non avere valore, di non appartenere, di non essere.

Un senso di inadeguatezza aleggia tra i commensali, mentre la regia ce lo mostra delicatamente, senza volerlo affrontare a viso aperto, né esporlo ad un terribile e definitivo giudizio.

Essere un bluff è quello che nessuno mai vorrebbe scoprire di sé e Sorrentino sembra intuirlo bene e perciò se ne tiene alla larga, più interessato all’analisi e alla comprensione delle umane paure.

Una volta un amico mi ha raccontato quello che per me è stata una rivelazione assoluta: nella stesura di una buona sceneggiatura, le storie di ognuno dei personaggi vengono immaginate e scritte per intero, soprattutto la parte delle loro storie che nel film non compare. Viene creata a posteriori una vera e propria storia di vita: viene immaginata e descritta la famiglia, che tipo di madre o che tipo di padre può aver avuto quel personaggio, se ha o no dei fratelli e che rapporti li legano, quali sono stati i principali eventi della sua vita. Viene scritto dove e perché quel personaggio ha imparato a reagire così alla gioia o al dolore, viene scritto come e quando ha scelto quel particolare modo di camminare, di parlare, di vestirsi e di muoversi nel mondo. La sua storia viene insomma pensata e scritta in modo dettagliatissimo, per restare poi solo nella mente di chi racconta. Se infine qualcosa nella storia risulta incoerente è possibile che sia il personaggio a doversi adattare, a dover “giustificare” la dissonanza rispetto alla sua storia.

Una scoperta per me entusiasmante!

Ecco, la potenza de La grande bellezza sta per me proprio qui: nella sensazione chiara e forte che ogni personaggio sia portatore di un percorso, di una storia che viene da lontano e di cui sceglie di condividere solo una parte, sperando intimamente che non venga giudicata.

Il film diventa allora una “finestra” sulla vita di quel personaggio, un momento che ci è concesso di osservare in silenzio.

"Ho paura e basta: non so perché!"

Immagini come questa possono essere per l’uomo stimoli ad “alto contenuto emotivo”, possono cioè provocare reazioni fisiche ed emotive molto intense. L’intensità della reazione è tuttavia spesso legata all’esperienza soggettiva e non alle caratteristiche proprie dello stimolo. L’effettiva pericolosità, la vicinanza allo stimolo, la probabilità di un evento, non sono sempre centrali nel provocare emozioni, pensieri e comportamenti che ne derivano.

Di cosa si tratta allora quando parliamo di fobie?

La fobia è una reazione di paura collegata a uno stimolo che produce tensione fino al punto da causare disturbi emotivi, sociali o occupazionali. È in genere riconosciuta come eccessiva o irrazionale e che porta a comportamenti di evitamento o ad ansia intensa in caso di esposizione allo stimolo temuto.

La maggior parte delle fobie sono legate a stimoli potenzialmente dannosi, pericolosi o che elicitano emozioni di disgusto. L’intensità delle emozioni e soprattutto le reazioni comportamentali messe in atto per evitare lo stimolo, costituiscono in genere la nostra “misura” di quanto quella paura sia in realtà una vera e propria fobia.

Per orientare il lettore alla comprensione della propria paura, è sicuramente utile sapere come riconoscerla:

  • Se la paura è sproporzionata rispetto al pericolo reale;
  • Se produce alterazioni dei normali cicli biologici (sonno, alimentazione);
  • Se influisce negativamente nelle normali attività quotidiane (lavoro, tempo libero, relazioni interpersonali,..);
  • Se causa malessere psicologico: ansia, depressione;
  • Se si è costretti all’utilizzo di “aiuti esterni” per superare il disagio (aiuto degli altri, farmaci).

Ecco le reazioni più comuni alle fobie:

  1. Cosa si prova? Sintomi fisici: agitazione, tachicardia, sudorazione, vertigini, giramenti di testa, apnea, nausea. Emozioni: paura, ansia.
  2. Cosa si pensa? Timore di catastrofi imminenti, paura di non riuscire a farcela, paura di morire, paura di impazzire, paura di perdere il controllo, …
  3. Quali sono i comportamenti usati per fronteggiare la situazione? Evitare le situazioni ritenute scatenanti (es: luoghi affollati, attività fisica, guidare auto,..); ricorrere a Comportamenti protettivi (es: richiedere accompagnamento di qualcuno, uso di sostanze, farmaci o droghe..).

Spesso le condizioni di vita cambiano e insieme ad esse le nostre esigenze, l’incontro con la nostra fobia potrebbe non verificarsi mai in tutta la vita o accentuarsi in situazioni di stress e complicare una situazione già non semplice.

L’ingresso di una fobia nella nostra vita può essere dunque subdolo e distogliere la nostra attenzione dal vero problema che ci preoccupa, scoprirlo può sicuramente farci risparmiare tempo ed energie!

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