Disturbo Bipolare: trattamento e psicoeducazione.

Il “Manuale di Psicoeducazione per il disturbo bipolare” di Colom e Vieta (2004) offre uno strumento molto efficace per affrontare e comprendere uno dei disturbi psichiatrici più complessi e, se non trattati, invalidanti per i pazienti che ne soffrono.

I disturbi dell’umore, di tipo bipolare, sono caratterizzati dalla presenza di un deficit a carico del sistema limbico dei meccanismi che regolano l’umore e la capacità di adattarsi in modo armonico e funzionale ad eventi esterni positivi o negativi. L’alterazione riguarda la produzione di neurotrasmettitori specifici (dopamina, serotonina, noradrenalina, acetilcolina) che sono fondamentali nel determinare le nostre reazioni emotive e la successiva capacità di ripristinare l’omeostasi corporea e affettiva. In condizioni normali il sistema limbico funge da “termostato” e segnala la necessità di incrementare l’umore, le attività, l’energia per affrontare alcune situazioni o di ridurre l’investimento energetico, le performance e la velocità con cui ci muoviamo e prendiamo decisioni per meglio adattarsi alle nostre necessità. Nei disturbi bipolari questo meccanismo è talora deficitario e inefficace nel consentire una buona regolazione degli stati affettivi, delle emozioni e delle scelte che ne derivano.

manuale colom vietaChi soffre di disturbo bipolare tende a vivere lunghi periodi di umore depresso, caratterizzato da pensieri negativi, stanchezza fisica, anedonia, astenia, insonnia, ansia, che si alternano a periodi mania, caratterizzati da una espansività emotiva, pensieri di grandiosità, incremento delle attività quotidiane e delle performance fisiche e lavorative, ridotto bisogno di sonno, tachipsichismo e talora ansia e aggressività associate. Tutti noi ci troviamo a vivere periodi simili a quelli descritti finora, magari quando eventi di vita stressanti condizionano il nostro umore o semplicemente abbiamo giornate “no” o giornate in cui sentiamo una particolare energia positiva. Tuttavia le condizioni per porre una diagnosi di disturbo bipolare riguardano alcuni aspetti importanti di queste fasi, quali durata, intensità e compromissione delle normali attività quotidiane, che possono aiutare a differenziare un normale andamento dell’umore da un’alternanza problematica di stati affettivi opposti. Anche l’abuso di sostanze psicotrope o la presenza di alcune patologie organiche possono causare sintomi simili al disturbo bipolare (ad es: ipo o iper tiroidismo, assunzione di farmaci, ipertensione,..), dunque solo uno specialista può porre questa diagnosi, valutando attentamente la presenza di eventuali eventi di vita scatenanti, la storia clinica specifica e l’anamnesi del paziente in consultazione.

(Per maggiori informazioni sui principali sottotipi di disturbi dell’umore, clicca i link di seguito: Disturbi depressivi unipolari disturbi bipolari.)

Ma tornando al manuale, l’idea principale che guida gli autori riguarda un concetto importantissimo e non sempre da tutti condiviso: il diritto ad essere informati, come primo passo per un percorso di cura. Quello che sarebbe un diritto inviolabile di ogni paziente, non solo in psichiatria, ma in tutte le branche mediche, diventa per gli autori molto di più: diventa esso stesso uno strumento di comprensione e di cura in grado di aiutare le persone a gestire un disturbo così complesso, riducendo sintomi e ricadute in modo significativo. Questo determina il miglioramento del decorso, poiché ormai si sa il disturbo bipolare non trattato tende a peggiorare negli anni – sia rispetto all’intensità  alla durata delle fasi che rispetto ai sintomi manifestati – fino a provocare grave menomazione della vita del paziente.

Il percorso che propongono gli autori e un programma di gruppo, composto di 21 incontri da 2 ore ciascuno, in cui 8-12 pazienti vengono informati e guidati nella comprensione dei disturbi dell’umore, dapprima con nozioni generali e poi successivamente con l’apprendimento di tecniche personalizzate per la comprensione della loro specifica condizione clinica. Tutti i partecipanti al gruppo, sono seguiti farmacologicamente da un medico psichiatra e devono necessariamente trovarsi in una fase eutimica del tono dell’umore, di equilibrio tra depressione e mania.

Di seguito in sintesi gli obiettivi delle diverse sedute del trattamento di gruppo, che possano essere un riferimento a terapeuti che vogliano intraprendere un lavoro terapeutico i questo, ma anche a utenti che abbiano ricevuto questa diagnosi e vogliano fare richiesta di una trattamento di gruppo così orientato nella loro zona.

Prime sei sessioni – Blocco 1:  Coscienza di malattia

– che cos’è la malattia bipolare?
– Fattori scatenanti ed eziologici?
– Sintomi mania? Sintomi depressivi?
– prognosi e decorso
Blocco 2: Aderenza farmacologica
trattamenti a disposizione oggi
– analisi necessarie (litio, carbamazepina,..)
– gravidanza, consulenza genetica
– terapie alternative
– rischi associati all’interruzione del trattamento
Blocco 3:  Abuso di sostanze
effetto delle sostanze psicoattive nel peggioramento della malattia
– effetti diretti delle sostanze sul manifestarsi del disturbo
– sostanze da evitare
Blocco 4: Individuazione precoce nuovi episodi
– segnali  prodromici di mania e depressione
– cosa fare se si riconosce l’inizio di un nuova fase
Blocco 5:  Regolarità dello stile di vita
regolarizzare sonno, alimentazione, attività fisica
– tecniche per il controllo dello stress
– strategie di soluzione dei problemi
– migliore gestione dell’emotività

Terapia Cognitivo-Comportamentale per le Psicosi: Trattamento

Dalle prime proposte di Beck, fondatore della Terapia Cognitiva, ad oggi sono stati fatti numerosi passi avanti nella costruzione di protocolli efficaci per la cura delle psicosi. Le neuroscienze hanno contribuito enormemente alle conoscenza attualmente in possesso della medicina e della psicologia, e l’esperienza clinica ha favorito la messa a punto di tecniche psicoterapeutiche sempre più specifiche e mirate alla riduzione dei sintomi più critici. Uno dei protocolli più efficaci emersi negli ultimi anni è quello di Fowler (2000) e utilizzato in molte ricerche successive come quella citata nel precedente contributo sull’argomento e pubblicato nella rivista State of MInd (Terapia Cognitivo-Comportamentale per le Psicosi – Parte I – DATI DI EFFICACIA).

I principali obiettivi del Trattamento Cognitivo-Comportamentale per le psicosi sono:

  • Ridurre l’angoscia e le disabilità prodotte dai sintomi psicotici.
  • Ridurre la disregolazione emotiva.
  • Accrescere la consapevolezza del paziente sul suo disturbo e promuovere una partecipazione attiva al percorso di cura, che possa prevenire il rischio di ricadute e di isolamento sociale e lavorativo.

Come procedere in terapia?

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BIBLIOGRAFIA:

Concreteness Training (CNT) come cura per la depressione.

Recenti ricerche hanno dimostrato che i sintomi depressivi possono essere trattati “semplicemente” attraverso l’addestramento ad uno stile di pensiero orientato per obiettivi, attraverso esercizi mentali strutturati secondo l’approccio cognitivo-comportamentale chiamato “Modificazione dei bias cognitivi” (Cognitive Bias Modification).

Lo studio condotto dalla University of Exeter e finanziato dal Medical Research Council, è stato pubblicato lo scorso Novembre sulla rivista Psychological Medicine e sembra interessante rispetto alla  necessità di proporre programmi di intervento più rapidi, efficaci e meno costosi nei casi di depressione o depressione maggiore. La proposta dei ricercatori è: un training di soli due mesi in grado di produrre, attraverso l“Addestramento al pensiero concreto” (Concreteness Training, CNT), un cambiamento dello stile di pensiero e una parziale riduzione della sintomatologia depressiva.  L’obiettivo generale del training è di insegnare alle persone ad essere più specifici quando riflettono su un problema e questo sembra ridurre le difficoltà iniziali di approccio alla soluzione, il rimuginio conseguente, il brooding e infine l’umore depresso. Le persone che soffrono di depressione hanno infatti la tendenza a sviluppare uno stile di pensiero astratto e caratterizzato da una prevalenza di pensieri negativi e molto generali, che alimentano la loro generale “incapacità nella vita” e sensazione di impotenza. Il modello  proposto dai ricercatori sembra in grado di  intervenire in modo diretto proprio su questo stile di pensiero.
I 121 soggetti  sperimentali, scelti in una fase di abbassamento dell’umore all’interno di un episodio depressivo maggiore diagnosticato, sono stati suddivisi in tre gruppi: 1) prosecuzione terapia abituale, 2) terapia abituale + CNT, 3) terapia abituale + trainig di rilassamento.  Il modello CNT prevedeva la somministrazione ai partecipanti di alcuni esercizi mentali giornalieri, standardizzati per step successivi e accompagnati dall’ascolto di un CD, in cui era richiesto loro di focalizzarsi su un recente evento di vita abbastanza negativo e fonte di stress e di identificarne specifici dettagli immaginando come ognuno di questi, presi singolarmente, avrebbe potuto influenzare l’esito immaginato.
La riduzione dell’ansia e della depressione ha favorito il passaggio da una diagnosi di “depressione grave” ad una di “depressione moderata” entro i primi due mesi di training, con un buon mantenimento dei risultati a distanza di 3 e 6 mesi. In media, i pazienti che hanno proseguito invece la loro abituale terapia non sono migliorati nella sintomatologia depressiva, mentre quelli che avevano integrato con gli esercizi di rilassamento sono migliorati di più, ma solo i pazienti che hanno seguito il “Concreteness training” hanno ridotto l’intensità dei pensieri negativi legati alla ruminazione.
Il Professor Edward Watkins ha spiegato: “Questo studio è la prima dimostrazione del fatto che il solo orientare lo stile di pensiero per obiettivi può avere un impatto significativo nell’affrontare la depressione. Si tratta di un approccio che può comportare un contatto minimo con il clinico e il training può essere seguito tramite assistenza on line, aprendo la possibilità di utilizzare CD o addirittura applicazioni per smartphone.  Il vantaggio sta nella possibilità di offrire un trattamento poco costoso e accessibile per un numero maggiore di persone, obiettivo prioritario nella cura della depressione a causa della elevate percentuale di persone affette da questo problema e dai costi globali, sociali e sanitari, che questo comporta.” I ricercatori proseguiranno in questa direzione per verificare l’efficacia del protocollo e la possibilità di inserire la CNT come trattamento privilegiato dal National Health Service britannico per la cura della depressione.
L’effetto di questo training sembra, ad una prima occhiata, paragonabile all’effetto del farmaco antidepressivo, in alcuni casi “salvavita” e spesso utile nel recuperare le “forze” cognitive necessarie ad intraprendere un percorso psicoterapico più approfondito, quindi da non sottovalutare la possibilità di utilizzare il protocollo proposto nella fase iniziale della terapia..
Fonte: Watkins ERTaylor RSByng RBaeyens CRead RPearson KWatson L., (2011). “Guided self-help concreteness training as an intervention for major depression in primary care: a Phase II randomized controlled trial.”, Psychological Medicine, 16:1-13. (Mood Disorders Centre, University of Exeter, UK.)
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Credenze che complicano la vita

Le idee che abbiamo su di noi, sugli altri e sul mondo sono spesso la “bussola” che ci permette di orientare le nostre scelte, di trovare nella moltitudine delle direzioni possibili quella che sentiamo più vicina e percorribile. Si tratta di pensieri che esprimono valutazioni generali, non legate cioè ad un contesto particolare, e che ci guidano nella lettura dei  fatti del mondo.

Ma quando queste credenze diventano inutili e fonte di sofferenza?

Il tema dei pensieri cosiddetti “disfunzionali” (A. Ellis) è caro alla psicologia cognitiva e questa striscia dei Peanuts (da “Su con la vita, Charlie Brown!” di A.Tverski) esprime in modo eccellente il peso delle credenze che abbiamo sulle  nostre emozioni.

In terapia cognitiva le credenze (pensieri) sono l’oggetto principale del trattamento: attraverso un’analisi accurata dei loro contenuti specifici e degli effetti che hanno su di noi (in termini di emozioni e comportamenti), si procede infatti alla loro confutazione e “critica” con l’obiettivo di restituire al pensiero stesso flessibilità, polarità positiva e un minor grado di generalizzazione. Non si tratta di un intervento che giudica il valore o la veridicità di un pensiero, ma che al contrario ne sottolinea la “legittimità” e approfondisce il legame tra quel pensiero e lo stato emotivo da esso evocato.

Albert Ellis e Aaron Beck sono stati i principali ideatori della terapia cognitiva e i primi a categorizzare i pensieri sulla base delle valutazione cui essi ci conducono: entrambi gli autori fanno riferimento a “errori/disfunzioni” che non riguardano il contenuto del pensiero (“cosa penso”), ma il processo che utilizzo nel costruirlo (“come penso”).

Ellis (in “Ragione ed emozione in psicoterapia”, 1962) parla di “idee irrazionali” e le divide in 5 categorie:

  1. Doverizzazioni (“devo assolutamente fare così”)
  2. Espressioni di intolleranza (“non tollero di fare una brutta figura!”)
  3. Generalizzazioni (“ho fatto una cosa stupida, quindi sono stupido!”)
  4. Pensieri catastrofizzanti (“arrossirò e questo sarà terribile!”)
  5. Bisogni assoluti (“non posso assolutamente rinunciare a…”).

Beck (in “Principi di Terapia cognitiva”, 1976) li definisce “errori cognitivi” e li descrive così:

  1. Pensiero tutto o nulla: considerare solo due conclusioni possibili e opposte.
  2. Lettura della mente: convinzione di poter discernere il pensiero altrui, senza prove.
  3. Etichettamento: generalizzazione di definizioni da un episodio o un comportamento a una intera persona o categoria di eventi.
  4. Saltare alle conclusioni: senza considerare criticamente i passaggi intermedi.
  5. Ragionamento emotivo: scambiare le emozioni per prove.

Potrebbe ora essere un valido esercizio per il lettore provare a:

  1. identificare un pensiero personale che abbia una o più delle seguenti caratteristiche e valutare l’intensità dell’emozione ad esso associata;
  2. una volta fatta questa operazione, sarebbe importate provare a chiedersi: che prove ho del fatto che sia così? In quali circostanze specifiche si verifica? E’ un pensiero logico o irrazionale? E’ un pensiero che mi danneggia o mi è utile a qualcosa? Le conseguenze che temo sono davvero così terribili? Sono davvero così poco in grado di tollerarle?
  3. Provare infine a modificare il pensiero in base alle risposte che ci si è dati e valutare di nuovo l’intensità dell’emozione associata al nuovo pensiero.

L’individuazione e modificazione dei “pensieri-trappola” e l’esperienza di una nuova emozione (più proporzionata!) permettono di approdare ad una vera e propria ristrutturazione del proprio punto di vista e costituiscono il cuore dell’intervento cognitivo.

Concludo su un fattore importante nella comprensione del disagio psichico, l’idea del continuum tra normalità e patologia: ogni stato emotivo doloroso è da considerarsi normale e sempre legittimo, ma può talora diventare patologico quando l’intensità, la frequenza e la durata rendono il malessere insopportabile. In quest’ottica la ristrutturazione delle credenze cognitive ha l’obiettivo di rendere i pensieri  più flessibili e le emozioni che ne conseguono meno dolorose, non di cambiare del tutto il modo in cui pensiamo o sentiamo.

Limitare “il potere” dei pensieri sulle nostre emozioni allevia l’intensità di uno stato doloroso e permette di recuperare risorse (fisiche e mentali) per la sfida successiva: capire le ragioni che ci hanno portato a costruire delle credenze che ci complicano la vita!

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La Psicoterapia: Un luogo nuovo.

Ognuno di noi può in qualsiasi momento della propria vita sentire il bisogno di un supporto e confronto rispetto a differenti situazioni.
La relazione terapeutica permette di creare un “luogo nuovo”, all’interno del quale sperimentare pensieri, emozioni e comportamenti e costruire all’interno di questo spazio nuovi modi e nuovi strumenti per aumentare la capacità di “leggersi” e muoversi nel mondo.
In quest’ottica la psicoterapia non è un luogo in cui trovare risposte, ma uno spazio interattivo in cui costruire gli strumenti più efficaci per trovarle; è una palestra in cui vengono allenate e rinforzate delle abilità cognitive, emotive e comportamentali utili ad affrontare le più diverse situazioni quotidiane.
L’idea di scrivere questo blog, nasce dalla moltitudine di domande che vengono rivolte a noi clinici sul ruolo, sull’efficacia e sulla attendibilità della psicoterapia come strumento di cura. Spesso miti e legende ruotano intorno al ruolo dello psicoterapeuta e possono rendere difficile l’accesso a questo tipo di aiuto o creare delle aspettative irrealistiche sulle possibilità di riceverne. In entrambi i casi, la comprensione del ruolo dello psicoterapeuta e la funzione della psicoterapia in generale rischiano di essere declinati in modi lontani da quella che è invece l’esperienza clinica, questo sia dal punto di vista dello specialista sia da quello del cliente.
Mi piace pensare alla psicoterapia, come ad un percorso che permette di “aumentare i gradi di libertà” di un sistema, che aggiunge cioè possibilità in termini di pensieri, comportamenti, vissuti emotivi, laddove la sofferenza psichica può portare invece ad un povertà di soluzioni e soprattutto alla ripetitività di strategie già sperimentate come fallimentari. Questo ovviamente in termini di costi personali e non assoluti. L’introduzione di elementi nuovi può perturbare il sistema e produrre cambiamento in senso positivo, senza bisogno di modificare in modo radicale pensieri e comportamenti. La sola consapevolezza del proprio modo di funzionare può talora essere sufficiente a non pagare costi emotivi troppo elevati e aiutare a spiegarsi un po’ meglio il proprio modo di agire, di pensare e di “sentire”.
Questa funzione generale della psicoterapia sul benessere psicologico, può essere raggiunta ovviamente con altri mezzi, primo fra tutti l’accesso alle risorse personali, cui ognuno di noi può comprensibilmente attingere. Indispensabili sono poi le risorse che prendiamo dall’esterno – amici, familiari, lavoro, religione, gruppi di appartenenza – e da cui possiamo trarre scambi vantaggiosi e sufficienti a superare un momento di empasse. Non di meno esistono poi infinite “agenzia di cura” che si prefiggono di nutrire mente e corpo con mezzi e strumenti altrettanto validi ed efficaci, e credo che la psicoterapia si possa collocare tra queste.
Come per tutte le “agenzie di cura”, la differenza nella scelta del percorso più adeguato è legata ad un personale interesse, alla facilità di accesso ad alcuni tipi di supporto piuttosto che altri, ai propri valori, giudizi e pregiudizi, al carattere, alle proprie paure, credenze o semplicemente alle precedenti esperienze di vita.
Quello che rende un percorso efficacie è soprattutto l’incontro tra le attitudini personali e le caratteristiche proprie del percorso, motivo per cui credo possa essere di aiuto conoscere i mezzi e la direzione che un trattamento di tipo psicoterapico può offrire e, per quanto possibile, operare scelte che siano nelle nostre “corde”.
In questa sezione del blog, introdurrò alcuni contributi, personali e non, che possano avvicinare idealmente il lettore alla comprensione della psicoterapia e delle sue possibili declinazioni…
Buona lettura!
Camilla Marzocchi