Mindfulness e Meditazione

La psicoterapia occidentale ha in vari momenti storici tentato contatti e contaminazioni con le tradizioni filosofiche orientali, incontrando tuttavia resistenze e difficoltà nell’integrare saperi e conoscenze basati su principi radicalmente differenti. In estrema sintesi, la radice occidentale più forte è stata quella seminata da Cartesio e molto delle psicoterapia tradizionali hanno fondato la loro ricerca sulla sacralità di questa divisione tra mente e corpo, in cui la mente ha spesso “vinto” con la supremazia della ragione, a discapito dei segnali del corpo spesso ridotto a mero ospite e segnalatore di conflitti interni da risolvere o inibire, tramite il controllo degli impulsi inconsci. Al contrario gli insegnamenti delle filosofie orientali, soprattutto di origine Buddhista, hanno fornito una visione molto diversa della psicologia umana con un approccio in genere più olistico e orientato verso l’organicità mente-corpo e con una maggiore attenzione all’importanza del radicamento nel momento presente come luogo principale di osservazione e attenzione ai processi mentali ed emotivi. La cosiddetta nuda attenzione come strumento preferenziale e prioritario, per alleggerire più profondamente le sofferenze quotidiane e le nevrosi legate alla costante tensione tra bisogni frustrati del passato e urgenza di un loro soddisfacimento nel presente.

..la dimensione psicologica fondamentale dell’esperienza spirituale buddhista. Lungi dall’essere un ritirarsi dalle complessità della vita mentale ed emotiva, il metodo buddhista richiede che tutto ciò che è della psiche si assoggetti alla consapevolezza della meditazione. E’ qui che la coincidenza con quella che viene chiamata psicoterapia ‘psicoterapia’ si fa più evidente. Meditare non significa rinnegare il mondo; il rallentamento richiesto dalle meditazione è al servizio di un esame più approfondito della mente quotidiana. E questo esame è, per definizione, psicologico. Il suo oggetto è mettere in discussione la vera natura del sé e porre fine alla sofferenza mentale che ci creiamo da soli. Un traguardo che varie scuole di psicoterapia hanno affrontato in maniera isolata, spesso senza godere della prospettiva globale offerta dalla metodologia degli psicologi della mente buddhisti.” (da Pensieri senza un pensatore, Mark Epstein)

Le origini di ricerca della consapevolezza non possono essere ricondotte ad un contesto geografico e temporale preciso, poiché sono rintracciabili, seppure con nomi diversi, in un ampio territorio compreso tra la Cina e la Grecia, in un periodo compreso tra 2800 e 2200 anni fa. Così afferma Amadei (2013) aggiungendo che, in fondo, il monoteismo di Zarathustra in Persia, il Giainismo di Mahavira e Parshva e il Buddhismo in India, il Confucianesimo e il Taoismo in Cina, gli insegnamenti dei profeti ebraici in Palestina e la filosofia greca sono tutte tradizioni che hanno contribuito a mettere a fuoco ‘una pausa di libertà, un respiro profondo che porta con sé una consapevolezza estremamente lucida’ (Amadei, 2013) – in una parola, ciò che oggi in Occidente va sotto il nome di mindfulness. (Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/tag/mindfulness/).

Tuttavia l’ingresso ufficiale della meditazione e della mindfulness in ambito occidentale e terapeutico è iniziato con i lavori pionieristici di Jon Kabat-Zinn, un biologo e professore della School of Medicine dell’Università del Massachussets che, a partire dal 1979, ha sviluppato un protocollo per introdurre la meditazione di consapevolezza come intervento in contesti clinici.
Mindfulness in questo contesto, ha assunto il significato di “capacità o attitudine a portare attenzione al momento presente in modo curioso e non giudicante “ (Kabat-Zinn, 1994).

Gli elementi costitutivi della Mindfulness, ne evidenziano la sua finalità etica e clinica: l’obiettivo è quello di eliminare la sofferenza “inutile”, coltivando una comprensione e accettazione profonda di qualunque cosa accada attraverso lo sviluppo di un’attitudine compassionevole e non giudicante verso i propri stati mentali. Secondo la tradizione originaria, la pratica della Mindfulness dovrebbe permettere di passare da uno stato di disequilibrio e sofferenza ad uno di maggiore percezione soggettiva di benessere, grazie al recupero di una “mente osservante”, capace cioè di guardare il presente e orientarsi alle risorse e ai limiti naturali che pone, senza essere trascinati o dirottati dai bisogni insoddisfatti del passato o da reazioni emotive collegate a situazioni traumatiche che non sono più parte del nostro presente ma che continuano a riemergere nella coscienza.

Dal primo originario protocollo ideato da Kabat-Zinn, sono seguiti molti approcci che hanno integrato la pratica della mindfulness come ingrediente essenziale del trattamento, con l’idea forte che una pratica quotidiana di meditazione e l’esercizio di una costante centratura e radicamento nel momento presente, possa favorire un migliore benessere emotivo, ridurre gli effetti dello stress quotidiano sulla mente e sul corpo e rendere il sistema emotivo più flessibile e resiliente agli “urti” della vita.

Molte ricerche hanno mostrato questa correlazione in diversi ambiti psicopatologici e l’originario protocollo Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) di Kabat-Zinn ha dato ormai molte prove di efficacia rispetto alla possibilità di regolare le emozioni nel presente e ridurre l’impatto degli eventi stressanti, ponendo la mente in una condizione ottimale per elaborare e affrontare le difficoltà, e le Neuroscienze hanno dato negli ultimi 10 anni ampia conferma di quanto la pratica quotidiana possa aiutare a mantenere un equilibrio psicofisico migliore:

La consapevolezza dell’esperienza che facciamo momento per momento ci dà la possibilità di sentire e accettare direttamente la nostra esperienza mentale. Questo stato di consapevolezza può coinvolgere in uno stato integrato tra varie regioni del cervello, incluse aree importanti della corteccia e le aree subcorticali del sistema limbico e del tronco encefalico. L’integrazione neurale, in parte condotta da queste regioni frontali, può essere essenziale per creare un equilibrio basato sull’autoregolazione. […] Questi percorsi di integrazione possono giocare un ruolo cruciale per il benessere. (D. J. Siegel, 2009).

In questo rapido escursus, mi pare fondamentale sottolineare come le Neuroscienze abbiano offerto un ponte e una cornice di comprensione valida e scientificamente fondata, a quello che le pratiche millenarie hanno raccolto dall’esperienza e dalla ripetizione nel tempo; oggi è possibile accedere alle pratiche di Mindfulness attraverso varie modalità e tutte possono concorrere a vario titolo ad un lavoro di consapevolezza su di sé e di maggiore capacità di regolare le emozioni, riducendo l’attitudine giudicante e la necessità di ricorrere a strategie di regolazione meno fini e più dannose per il corpo e per la mente.

A tanti livelli è possibile coltivare la mindfulness in psicoterapia:

  • Coltivare in colloquio un’attitudine mindful: aperta, curiosa e non giudicante verso le emozioni negative che emergono, offrendo la possibilità di osservarle e collegarle a parti di noi che hanno sofferto e che hanno fatto il meglio per sopravvivere in tempi difficili; guardare al passato restando ben ancorati al presente e alle sue possibili traiettorie, permette di lavorare in condizioni di “sicurezza”, sia su aspetti emotivi più esistenziali, che su riattivazoni traumatiche più intense e disturbanti. Promuovere una mente osservante dentro di noi è garanzia di contatto con il presente e con l’adulto che siamo, mentre è necessario d’altro canto esplorare le fatiche del passato e le origini delle nostre paure senza restarne di nuovo sopraffatti e senza volerlo cambiare, solo mantenendo con sguardo compassionevole e attento, capace di accettare senza rinunciare a comprendere e disposta a dire “Sì” a tutto quello che affiora dentro e fuori di noi;

  • Coltivare una pratica quotidiana di meditazione e radicamento può essere molto efficacie per accompagnare un lavoro psicoterapieco di consapevolezza e ricerca su di sé: la meditazione Vipassana, lo Yoga, Techiche di respirazione, il Cammino consapevole, tutto ciò che contribuisce a coltivare presenza è prezioso nel nostro quotidiano, soprattutto per chi vive in città e in assenza di contatto con la natura.

  • Cercare Centri nella propria città, che utilizzano Protocolli Mindfulness Certificati, per avviare la propria pratica quotidiana attraverso una metodologia più strutturata e adatta alle esigenze di un lavoro più pragmatico e mirato a gestire lo stress, sviluppando un’attitudine di conoscenza compassionevole di se stessi e di come la propria mente reagisce agli stimoli e agli ostacoli della vita.

A Bologna:

https://www.dott-albertochiesa.it/mindfulness

http://www.michelebovo.org/corsi/42-mindfulness-incontri-dedicati-alla-pratica-bologna

Per approfondimenti:

  • Kabat‐Zinn, J. (2003). Mindfulness‐based interventions in context: past, present, and future. Clinical psychology: Science and practice, 10(2), 144-156.

  • Kabat- Zinn J.(1994). Dovunque tu vada, ci sei già. Una guida alla meditazione,TEA libri.

  • Kabat-Zinn, J. (1990). Vivere momento per momento. Trad. it.: Sabbadini, A. Tea Pratica, Milano