“Quando un essere umano infligge un dolore o un danno ad un altro essere umano, ne deriva una lacerazione a livello sociale e personale. Il trauma distrugge il nucleo di umanità caratteristico di ogni contesto sociale: la comunicazione, la parola, la memoria autobiografica, la dignità, la pace e la libertà.”

 
rifugiatiIl fenomeno migratorio ha assunto negli ultimi anni dimensioni enormi in tutto il mondo; intere popolazioni migrano in cerca di loghi sicuri in cui vivere e crescere la propria famiglia, fuggendo da guerre, povertà, calamità naturali. La ricerca di libertà e dignità verso una terra sconosciuta e talora inospitale è il più delle volte uno stato di necessità e come tale rende le persone combattive, pronte a lottare per la sopravvivenza e in grado di tollerare traumi e lutti che in uno stato diverso sarebbero probabilmente intollerabili per ognuno di noi.
I rifugiati più di tutti sono soggetti a questo: lo stato di emergenza e di minaccia alla vita è vissuto a lungo nella loro terra di origine, permane spesso durante tutto il loro viaggio e resta ancora attivo nella precarietà e nell’incertezza del luogo in cui arrivano.
Ma cosa succede quando l’emergenza finisce? 
Quanto tempo e con quali strumenti si possono elaborare gli eventi traumatici vissuti nel viaggio?
Che eredità lasciano questi traumi e vissuto alle generazioni successive e nelle comunità?
Per comprendere i possibili esiti traumatici nelle popolazioni di rifugiati è essenziali comprendere le caratteristiche della violenza organizzata e conoscere le condizioni in cui le persone hanno erano quando hanno vissuto le violenze. Solitudine, impotenza, colpa verso familiari lasciati indietro, perdite, violenza assistita sono tutti fattori di rischio, mentre l’appartenenza ad un gruppo, il sostegno della famiglia, l’avere uno scopo superiore e spirituale che guida, l’incontro con persone in grado di proteggere al momento giusto e la possibilità di accedere a servizi psicologici specializzati, possono essere certamente fattori che rendono i traumi superabili e che limitano il passaggio “transgenerazionale” della violenza e degli abusi.
Nei prossimi anni sarà necessario sviluppare strumenti di lavoro mirati ad intervenire su questi fenomeni, per lavorare sulle vittime di violenza, di tortura, di tratta e aiutarle a superare in modo completo i vissuti traumatici, così da ridurre il passaggio delle memorie traumatiche alle seconde generazioni di migranti.
Nell’articolo che segue propongo la recensione di un interessante testo che parla di un metodo psicoterapico per aiutare le vittime di violenza organizzata e di violazione dei diritti umani: Schauer, M., Neuer, F., Elbert, T. (2014) Terapia dell’esposizione narrativa. Un trattamento a breve termine per i disturbi da stress post-traumatico. Giovanni Fioriti Editore.

Il trauma nel racconto dei rifugiati: la terapia dell’esposizione narrativa (NET)