La narrazione in psicoterapia: a cosa serve raccontare esperienze del passato che ci hanno fatto soffrire?

La psicoterapia è un trattamento basato sulla parola.

Ogni tipo di psicoterapia utilizza soprattutto il linguaggio per esprimere, accedere e modificare prospettive di vita, pensieri, emozioni. Nel panorama dei diversi approcci di cura non è raro trovarsi di fronte ad un relativismo estremo: approcci centrati solo sul comportamento, solo sul corpo, solo sulle emozioni, solo sul simbolismo delle parole, solo sull’ascolto silenzioso dell’esperienza dell’altro. Ogni cornice teorica recita e applica i suoi riferimenti, offrendo chiavi di lettura e strategie per conoscere meglio se stessi e affrontare nodi dolorosi della vita attraverso l’acquisizione di nuovi punti di vista. Ma alla fine la parola, la narrazione, il linguaggio assumono in ultima istanza e per tutti un ruolo indubbiamente centrale nel ridefinire una cornice, una nuova consapevolezza e una nuova scoperta su se stessi, qualunque sia stato il mezzo per esplorarsi.

Ma a cosa serve raccontare situazioni del passato che ci hanno fatto soffrire?

snoopy-raccontoNei processi narrativi presenti in psicoterapia un aspetto centrale da conoscere e ri-conoscere è il funzionamento della nostra memoria. Gli eventi traumatici o dolorosi della vita seguono infatti processi di elaborazione e memorizzazione del tutto simili a tutti gli altri eventi di vita, almeno finché questi eventi negativi vengono elaborati in un modo adattivo e funzionale alla nostra evoluzione come individui.  Ma come viene immagazzinato un evento?

Dalla neuropsicologia sappiamo che esistono diversi tipi di memoria, ognuno dei quali è funzionale alla nostra vita e al recupero di informazioni necessarie da utilizzare nel presente. Una prima differenza riguarda memorie dichiarative e memorie non dichiarative (Squire, 1994): le prime riguardano ricordi di eventi personali, di fatti, di informazioni riguardanti il mondo in generale e possono essere recuperate volontariamente, le seconde riguardano invece abilità, abitudini, associazioni emotive e risposte condizionate e sono principalmente memorie implicite, non recuperabili deliberatamente. Ad esempio l’andare in bicicletta può essere presente in entrambi i tipi di memoria, in un caso come ricordo del giorno in cui abbiamo imparato ad andare in bicicletta (mem. Dichiarativa autobiografica), nell’altro come memoria dei movimenti che ci consentono di pedalare senza cadere (mem. Implicita procedurale).

Altro aspetto importante riguarda secondo Tulving (2001) la differenza tra memoria episodica e memoria semantica. I ricordi contenuti nella memoria episodica riguardano avvenimenti accaduti in un determinato luogo, tempo e contesto della nostra vita e riusciamo grazie ad essa a recuperare questi elementi; al contrario la memoria semantica va a costituire le basi della nostra conoscenza su noi stessi, sugli altri e sul mondo, e non necessita di un evento di vita specifico o dell’esperienza. Sappiamo che in Africa ci sono i leoni senza essere necessariamente andati lì a vederli con i nostri occhi! Entrambe queste memorie possono entrare in gioco rispetto allo stesso evento di vita: possiamo ricordare ad esempio singoli eventi positivi della nostra vita professionale attivando una memoria episodica di quelle situazioni, o possiamo accedere ad una conoscenza di noi stessi come persone di successo e competenti senza recuperare volontariamente tutti gli episodi che a questo sono legati. E qui le cose iniziano a complicarsi un po’!

Infine la memoria episodica permette alla persona di accedere ad un altro tipo di informazioni: le rappresentazioni percettive sensoriali connesse ad eventi specifici. Il recupero di questi aspetti dei ricordi non può riguardare tutti gli eventi della nostra vita quotidiana, ma riguarda certamente eventi di vita vissuti con un’alta intensità emotiva, tali da rimanere “codificati” nella mente come eventi significativi. Recuperando il ricordo dell’ultima volta che abbiamo fatto la spesa non riusciremmo forse a riportare alla memoria sensazioni fisiche, odori e suoni di quella situazione (sarebbe un dispendio di energie troppo alto!), mentre riusciremo più facilmente a rivivere sensazioni e percezioni  della nostra prima “cotta”, anche a distanza di molti anni!

Tutti gli eventi significativi della nostra vita vengono archiviati in modo armonico nei diversi “magazzini” della memoria ed è importante poter accedere a tutti i diversi livelli e aspetti dei ricordi. Gli eventi molto negativi e traumatici tuttavia a volte rischiano di non essere elaborati nel modo per noi più adattivo possibile e faticano a venire “archiviati” regolarmente. Quando questo accade, i ricordi negativi possono lasciare frammenti sparsi di diversi aspetti dell’evento, frammenti che possono riaffiorare come pensieri negativi, immagini intrusive, sensazioni fisiche sgradevoli. Può emergere ad esempio il ricordo solo semantico di un evento molto negativo (ad es: “sono in pericolo”, “non valgo niente”, “sono un fallito”, “non farò mai niente nella vita”, “sono un debole”), ma non il ricordo episodico ad esso collegato (incidente, abuso, umiliazione, violenza fisica o verbale); possono emergere al contrario sensazioni fisiche intense di paura, dolore o irrequietezza in particolari situazioni che elicitano dei ricordi presenti nella memoria implicita, senza che vengano volontariamente collegati ad alcun ricordo della memoria dichiarativa o episodica. Possono comparire immagini intrusive o flash back dalla memoria episodica, in momenti di assoluta serenità. In tutti questi casi e in molti altri, questo tipo di  incongruenze può indicare la presenza di un ricordo non completamente e correttamente elaborato dalla nostra mente e la scarsa fluidità dei processi di memoria emerge solitamente attraverso il linguaggio, le parole, le espressioni prosodiche e le descrizioni che facciamo degli eventi.

Il racconto condiviso della propria storia in psicoterapia può aiutare a mettere in luce proprio queste incongruenze e a rintracciare tutti i frammenti sparpagliati nella memoria allo scopo di ricostruire un puzzle coerente e completo di quello che è accaduto, di bello e di brutto, nella vita. Recuperare i ricordi negativi e ri-collocarli in uno spazio e in un tempo definiti, aiuta a ridurre il loro potenziale traumatico nel presente, aiuta a separare ciò che è stato da ciò che è o potrà essere nel futuro, aiuta a dare loro un senso e un significato personale.

Ecco il cuore del processo terapeutico: dare senso e significato ad una storia attraverso il recupero del suo racconto, costruire una mappa nuova e completa del passato e lasciare a quei ricordi negativi un traccia da seguire per abbandonare luoghi oscuri e inesplorati della mente e raggiungere spazi più luminosi e accoglienti, in cui possano finalmente trovare uno luogo di quiete e, forse, di oblio.

Liberamente tratto da:

Schauer, Neuer, Elbert, Terapia dell’esposizione narrativa. Un trattamento a breve termine per i disturbi da stress post-traumatico. Giovanni Fioriti Editore (2014)

La Psicoterapia: Un luogo nuovo.

Ognuno di noi può in qualsiasi momento della propria vita sentire il bisogno di un supporto e confronto rispetto a differenti situazioni.
La relazione terapeutica permette di creare un “luogo nuovo”, all’interno del quale sperimentare pensieri, emozioni e comportamenti e costruire all’interno di questo spazio nuovi modi e nuovi strumenti per aumentare la capacità di “leggersi” e muoversi nel mondo.
In quest’ottica la psicoterapia non è un luogo in cui trovare risposte, ma uno spazio interattivo in cui costruire gli strumenti più efficaci per trovarle; è una palestra in cui vengono allenate e rinforzate delle abilità cognitive, emotive e comportamentali utili ad affrontare le più diverse situazioni quotidiane.
L’idea di scrivere questo blog, nasce dalla moltitudine di domande che vengono rivolte a noi clinici sul ruolo, sull’efficacia e sulla attendibilità della psicoterapia come strumento di cura. Spesso miti e legende ruotano intorno al ruolo dello psicoterapeuta e possono rendere difficile l’accesso a questo tipo di aiuto o creare delle aspettative irrealistiche sulle possibilità di riceverne. In entrambi i casi, la comprensione del ruolo dello psicoterapeuta e la funzione della psicoterapia in generale rischiano di essere declinati in modi lontani da quella che è invece l’esperienza clinica, questo sia dal punto di vista dello specialista sia da quello del cliente.
Mi piace pensare alla psicoterapia, come ad un percorso che permette di “aumentare i gradi di libertà” di un sistema, che aggiunge cioè possibilità in termini di pensieri, comportamenti, vissuti emotivi, laddove la sofferenza psichica può portare invece ad un povertà di soluzioni e soprattutto alla ripetitività di strategie già sperimentate come fallimentari. Questo ovviamente in termini di costi personali e non assoluti. L’introduzione di elementi nuovi può perturbare il sistema e produrre cambiamento in senso positivo, senza bisogno di modificare in modo radicale pensieri e comportamenti. La sola consapevolezza del proprio modo di funzionare può talora essere sufficiente a non pagare costi emotivi troppo elevati e aiutare a spiegarsi un po’ meglio il proprio modo di agire, di pensare e di “sentire”.
Questa funzione generale della psicoterapia sul benessere psicologico, può essere raggiunta ovviamente con altri mezzi, primo fra tutti l’accesso alle risorse personali, cui ognuno di noi può comprensibilmente attingere. Indispensabili sono poi le risorse che prendiamo dall’esterno – amici, familiari, lavoro, religione, gruppi di appartenenza – e da cui possiamo trarre scambi vantaggiosi e sufficienti a superare un momento di empasse. Non di meno esistono poi infinite “agenzia di cura” che si prefiggono di nutrire mente e corpo con mezzi e strumenti altrettanto validi ed efficaci, e credo che la psicoterapia si possa collocare tra queste.
Come per tutte le “agenzie di cura”, la differenza nella scelta del percorso più adeguato è legata ad un personale interesse, alla facilità di accesso ad alcuni tipi di supporto piuttosto che altri, ai propri valori, giudizi e pregiudizi, al carattere, alle proprie paure, credenze o semplicemente alle precedenti esperienze di vita.
Quello che rende un percorso efficacie è soprattutto l’incontro tra le attitudini personali e le caratteristiche proprie del percorso, motivo per cui credo possa essere di aiuto conoscere i mezzi e la direzione che un trattamento di tipo psicoterapico può offrire e, per quanto possibile, operare scelte che siano nelle nostre “corde”.
In questa sezione del blog, introdurrò alcuni contributi, personali e non, che possano avvicinare idealmente il lettore alla comprensione della psicoterapia e delle sue possibili declinazioni…
Buona lettura!
Camilla Marzocchi