EMDR: quando aiuta di più?

“Più vai lento, più vai veloce.”

Richard Kluft

L’EMDR è un metodo terapeutico evidence based che aiuta le persone che hanno vissuto una o più situazioni traumatiche ad elaborare i ricordi e a “liberare” la mente dai frammenti più dolorosi e irrisolti, che spesso sono alla base dei principali sintomi da stress post traumatico, d’ansia e depressivi.
E’ stato riconosciuto come metodo d’elezione per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e sono numerose ormai le evidenze scientifiche sulla sua efficacia nel trattamento di sindromi complesse correlate a traumatizzazione cronica e disturbi dissociativi (trovate qui informazioni e riferimenti ufficiali). La rapidità con cui permette di elaborare eventi traumatici del passato e acquisire una nuova prospettiva su di essi è una delle principali e più sorprendenti caratteristiche, a confronto con altri tipi di terapie che lavorano sulle memorie traumatiche, e questo ha alimentato grande interesse da parte dei clinici e dei pazienti stessi.
Di particolare interesse sono le recenti pubblicazioni scientifiche portate avanti da un team di ricerca tutto italiano (Pagani M., et al 2010, 2011) sul monitoraggio dell’attività cerebrale tramite elettroencefalogramma (EEG) prima, durante e dopo un trattamento EMDR: i risultati hanno evidenziato un cambiamento sorprendentemente significativo tra le prime sedute e le ultime. In particolare nelle prime il recupero dei ricordi autobiografici, delle immagini e delle emozioni negative associate attiva intensamente la corteccia limbica e la corteccia prefrontale (responsabili delle risposte emotive e delle nostre reazioni in situazioni di emergenza o di pericolo) e questa risposta permane durante l’intero processo di desensibilizzazione; mentre l’attività corticale si modifica radicalmente a conclusione del processo di elaborazione, mostrando una maggiore attivazione delle regioni corticali temporali, parietali e occipitali con una chiara lateralizzazione sinistra. Questi dati hanno permesso di ipotizzare l’effettivo “passaggio” del ricordo traumatico da una rete mnestica sottocorticale, che continua a riattivare nel PTSD il ricordo traumatico a causa della reattività delle aree del cervello limbico e prefrontali legate alla percezione del pericolo e alle risposte di emergenza, ad una rete più corticale in cui il ricordo viene riorganizzato in una memoria più cognitiva e semantica, che permette la rievocazione dell’evento traumatico, ma non più delle reazioni emotive dolorose ad esso associate. “Queste scoperte suggeriscono un‘elaborazione cognitiva dell’evento traumatico in seguito a terapia EMDR riuscita e sostiene l’evidenza di distinti modelli neurobiologici di attivazione del cervello durante i movimenti oculari bilaterali nella fase di desensibilizzazione dell’EMDR (fonte EMDRItalia.it).”
La ricerca su questi meccanismi neurobiologici andrà avanti e cidarà sempre più risposte, ma quello che tuttavia resta a noi terapeuti è: come declinare il metodo nella clinica quotidiana?
Come spesso accade i risultati scientifici fanno crescere entusiasmo e speranze tra clinici e pazienti, sviluppando da un lato grande curiosità e passione nella ricerca di evidenze sperimentali, ma da l’altro alimentando una certa quota di “pensiero magico” circa l’efficacia del metodo e la sua applicabilità!
E’ dunque importante sapere per tutti, clinici e pazienti che vorranno avvicinarsi a questo tipo di trattamento, che si tratta di una tecnica terapeutica che va integrata in un percorso di psicoterapia e soprattutto in una relazione terapeutica.
Come tale l’EMDR offre incredibili risultati a fronte però di una cornice di lavoro molto specifica, articolata e solida, in cui sarà importante definire dettagliatamente la diagnosi, la storia di vita, la sintomatologia presente e le risorse presenti nel paziente per fronteggiare la vita quotidiana e le emozioni veementi che spesso vengono stimolate dalla rievocazione del ricordo target su cui si sceglie di lavorare.
Nella mia esperienza le condizioni di miglior efficacia sono:

  • La corretta diagnosi e l’approfondimento di disturbi dissociativi sottostanti;
  • L’individuazione dei ricordi target effettivamente collegati alla sofferenza attuale del paziente;
  • La creazione di un’alleanza terapeutica chiara su obiettivi, metodo e fasi della terapia;
  • Una relazione di fiducia, in cui paziente e terapeuta possano affrontare la fase della elaborazione delle memorie traumatiche in un contesto percepito sicuro e privo di pericoli per entrambi;
  • La conoscenza e applicazione del protocollo standard come prima scelta e la padronanza di tecniche di integrazione cognitive e corporee da utilizzare nei casi più complessi;
  • Offrire sempre al paziente la possibilità di scegliere durante l’intero processo di cura;
  • Riconoscere e rispettare le resistenze e le fobie che possono attivarsi verso il recupero delle memorie, anche in presenza di una grande motivazione del paziente al lavoro EMDR;
  • Il processo di elaborazione può sollecitare inizialmente emozioni negative, ma non deve essere in nessun caso traumatico; quando il momento è quello giusto le emozioni negative tendono a ridursi abbastanza rapidamente e a lasciare spazio e nuove emozioni e prospettive;
  • Seguire un percorso a fasi che preveda una fase di stabilizzazione iniziale del paziente, che consenta una buona padronanza dello “scenario” su cui si andrà a lavorare e dei possibili vantaggi e svantaggi del lavoro stesso, e solo successivamente un lavoro di elaborazione mirato e diretto sulle memorie traumatiche.

Se queste caratteristiche non vengono rispettate, il lavoro EMDR rischia di generare ulteriori resistenze e di aumentare la fobia del ricordo traumatico e il senso di impotenza spesso tipico in persone traumatizzate.
Quando al contrario queste condizioni sono rispettate, l’EMDR permette di “volare” verso una nuova prospettiva, di rinnovare le proprie risorse verso la resilienza necessaria ad andare avanti in una vita piena e caratterizzata dal recupero di un contatto profondo, solido e integrato con se stessi, con gli altri e con la realtà.
Certo è che i tempi per raggiungere questi obiettivi possono variare da persona a persona e certamente si allungano in situazioni più complesse di traumatizzazione cronica, ma in psicoterapia a volte la lentezza produce cambiamenti più grandi e più duraturi.
 

Cos'è l'EMDR?

L’EMDR è un approccio complesso utilizzato per elaborare eventi traumatici e consiste in una metodologia strutturata che può essere integrata nei programmi terapeutici aumentandone l’efficacia.
Il modello considera tutti gli aspetti di una esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici e vede nella patologia il “sintomo” di un’informazione immagazzinata in modo non funzionale, su tutti i livelli: cognitivo, emotivo, sensoriale e fisiologico.
Quando avviene un evento ”traumatico” l’equilibrio tra le nostre reti neurali (eccitatorie e inibitorie) viene disturbato e l’elaborazione di conseguenza resta bloccata, come “congelata” nella sua forma ansiogena originale. Questo è il modo in cui le sensazioni del passato si ripropongono come “sintomi” nel presente.
Questa metodologia si fonda su un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione accelerata dell’informazione (AIP) e utilizza movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio neuro fisiologico, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali.
I movimenti oculari saccadici e ritmici usati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo facilitano infatti la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. Nella risoluzione adattiva l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo.
Le ricerche condotte su vittime di violenze sessuali, di incidenti, di catastrofi naturali, ecc. indicano che il metodo permette una desensibilizzazione rapida nei confronti dei ricordi traumatici e una ristrutturazione cognitiva che porta a una riduzione significativa dei sintomi del paziente (stress emotivo, pensieri invadenti, ansia, flashback, incubi).
L’EMDR è usato fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente.
Queste esperienze traumatiche possono consistere in:

  • Piccoli/grandi traumi subiti nell’età  dello sviluppo
  • Eventi stressanti  nell’ambito delle esperienze comuni (lutto, malattia cronica, perdite finanziarie, conflitti coniugali, cambiamenti)
  • Eventi stressanti al di fuori dell’esperienza umana consueta quali disastri naturali (terremoti, inondazioni) o disastri provocati dall’uomo (incidenti gravi, torture, violenza)

Negli ultimi anni ci sono stati più studi e ricerche scientifiche sull’EMDR che su qualsiasi altro metodo usato per il trattamento del trauma e dei ricordi traumatici. I risultati di questi lavori hanno portato questo metodo terapeutico ad aprire una nuova dimensione nella psicoterapia. L’efficacia dell‘EMDR è stata dimostrata in tutti i tipi di trauma, sia per il Disturbo Post Traumatico da Stress che per i traumi di minore entità . Nel 1995 il Dipartimento di Psicologia Clinica dell’American Psychological Association (APA) ha condotto una ricerca per definire il grado di efficacia di questo metodo terapeutico e le conclusioni sono state che l’EMDR è non solo efficace nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico ma che ha addirittura l’indice di efficacia più alto per questa categoria diagnostica.
(Fonte: Associazione EMDR Italia )
EMDR Institute USA
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Stress post-traumatico: come riconoscerlo?

Sempre più spesso si sente parlare di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) e la sua presenza in film e telefilm è quasi sempre associata ad ambienti militari, situazioni di guerra o a grandi catastrofi naturali.

Immagine tratta dal film "Valzer con Bashir" di Ari Folman (2008)
Immagine tratta dal film “Valzer con Bashir” di Ari Folman (2008)

“(1) Aver vissuto o aver assistito a uno o più eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte o grave minaccia all’integrità fisica propria o altrui e (2) aver provato di fronte a tali eventi intensa paura, impotenza e orrore” (DSM IV) sono le due condizioni necessarie per determinare la diagnosi di disturbo da stress post-traumatico. Oltre alle guerre e alle catastrofi, vengono in mente allora molte situazioni traumatiche e spesso più frequenti nella vita quotidiana e nell’esperienza clinica: violenze, fisiche o verbali, ricevute o assistite, incidenti, aggressioni, interventi chirurgici, lutti solo per citarne alcuni.

I sintomi più celebri, nonché i più frequenti per parlare di DPTS, sono i flashback degli eventi traumatici, rivissuti nel presente in modo vivido e spesso molto realistico, tanto da sembrare vere e proprie allucinazioni. Seguono poi insonnia, incubi, irritabilità, stato costante di allerta, difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, eccessiva reattività a stimoli non pericolosi o neutri collegati in qualche modo all’evento traumatico. Tutti i “sintomi” descritti, sono in realtà NORMALI REAZIONI ad eventi traumatici che hanno in sé le caratteristiche sopra descritte, quando tuttavia compaiono per un periodo di tempo prolungato possono causare eccessivo malessere e l’assunzione di condotte invalidanti per la vita di chi ne è affetto e dei suoi familiari. Riconoscere tempestivamente i sintomi e intervenire con terapie adeguate costituiscono ovviamente elementi cruciali per una buona prognosi.

Ma continuiamo sui sintomi più frequenti per imparare a riconoscerli…

Oltre alle reazioni descritte, ce ne sono alcune meno note che mi preme descrivere, poiché molto più frequenti nell’esperienza comune di coloro che soffrono di stress post traumatico e ugualmente spaventanti, se non ri-conosciute come tali.

Senso di irrealtà: sensazione di essere in un film o in un sogno, di osservare la realtà da sotto una campana di vetro, di non essere appieno dentro al situazione, di sentirsi distaccati, disinteressati a quello che succede intorno —– spesso confuso come semplice attacco i panico, se si presenta come unico sintomo.

Reazioni fisiche intense: nausea, difficoltà di digestione, stanchezza cronica, spossatezza —– spesso confuse con malattie organiche, attacco di panico o ipocondria.

Vulnerabilità: sentirsi più esposti può determinare un pervasivo timore per il futuro o la scomparsa di interesse per attività prima considerate fondamenti della propria vita (lavoro, attività sportive, hobby..). Questi cambiamenti hanno ripercussioni relazionali anche gravi, con familiari e amici —- spesso associato a sintomi depressivi primari o ad aspetti di personalità problematici.

Pensieri intrusivi: pensieri catastrofici che arrivano improvvisamente mentre si sta lavorando o mangiando o guidando l’automobile. Sono spesso collegati all’evento traumatico vissuto, ma la loro comparsa imprevedibile li fa percepire come fuori controllo. —- spesso associato ad ansia generalizzata.

Significato della vita: spesso chi ha subito un forte trauma inizia a farsi domande sul senso della vita, sul perché esistiamo, tutto diventa incerto, tutto perde di senso e le certezze possedute sembrano irrecuperabili dopo la traumatizzazione. —- spesso associato a sintomi depressivi primari (ruminazione).

NB: Spesso i sintomi non compaiono immediatamente dopo il trauma, ma possono manifestarsi alcuni mesi dopo o talora diversi anni dopo, al presentarsi di un nuovo evento traumatico o di una situazione che riporti alla memoria l’evento del passato. Questo quadro clinico richiede ovviamente una dettagliata raccolta anamnestica ed eventualmente l’utilizzo di tecniche mirate a recuperare i ricordi antichi collegati ai problemi attuali. Una volta identificata l’origine traumatica dei sintomi, la prognosi diventa migliore grazie alle molte e validate tecniche terapeutiche (es. EMDR) ad oggi ampiamente utilizzate nella cura del DPTS.

La diagnosi e il trattamento necessitano in ogni caso dell’attenta valutazione di un clinico e in nessun modo la lettura delle informazioni fornite in questo articolo può sostituirsi alla consultazione con uno specialista. I sintomi descritti possono aiutare a leggere in modo più preciso, alcune sensazioni comuni che altrimenti possono restare incomprensibili e “spaventose” per chi si trova a viverle.

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Balbuzie ed EMDR

Nonostante le molte ricerche in ambito psicologico, neurologico, linguistico, non sono chiare le origine della balbuzie e i motivi esatti della sua insorgenza che può variare dai primissimi anni di vita, all’età adulta. Come molte situazioni croniche legate allo stress, anche la balbuzie può essere condizionata o peggiorata dalla presenza di eventi stressanti o traumatici di vario tipo. La prognosi è sicuramente più negativa se ci sono episodi di balbuzia presenti in famiglia o precedenti nella vita del paziente, ma in generale si tratta di un disturbo che può essere trattato come un disturbo primario del linguaggio, laddove vengano escluse altre cause scatenanti. Nessun dato certo sulla presenza di patologie psichiatriche in pazienti balbuzienti, né presenza di tratti di personalità particolarmente predisponenti a sviluppare questo disturbo. Quello che è certo però è che si tratta di un disturbo molto invalidante, spesso alla base dello sviluppo di disturbi psicologici secondari che possono peggiorare i sintomi e rendere la riabilitazione più complessa.

Intanto qualche definizione.

«La balbuzie è un disordine nel ritmo della parola per cui il paziente sa cosa vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà. […] La balbuzie […] ha natura intermittente e multidimensionale, poiché appare condizionata da variabili di natura socioculturale, psicologica, fisiologica e genetica, e come tale può essere descritta a molteplici livelli […]. La definizione e la diagnosi tradizionali di balbuzie si basano sulla rilevazione uditiva e valutazione qualitativa delle disfluenze, che per numero, tipo, durata e posizione sono giudicate anomale e qualificano chi le produce come balbuziente.» (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1977).

w.allenLa balbuzie interessa circa l’1% della popolazione mondiale, ma circa il 5% può dire di averne sofferto in qualche misura nel corso della sua vita. La differenza tra i due tassi è spiegabile con l’alta percentuale di remissione, circa il 75-80%, che avviene per lo più spontaneamente dai 12 ai 18 mesi di distanza dal momento dell’insorgenza, e che è da collocare tipicamente nella prima infanzia. Per il 75 % dei soggetti colpiti da balbuzie l’insorgenza si situa dai 18 ai 41 mesi, quando le abilità linguistiche, cognitive e motorie del bambino sono interessate da un rapido processo di maturazione e sviluppo, l’età media d’insorgenza è di 32 mesi e vi è una scomparsa virtuale di nuovi casi dopo i 12 anni. Le ricerche di tipo genetico basate sugli antecedenti famigliari e sulla gemellarità monozigote fanno ritenere che la balbuzie venga trasmessa per via genetica, e anche se il meccanismo di trasmissione resta sconosciuto, il tipo di legame parentale e il sesso contribuiscono a determinare le probabilità che un bambino cominci a balbettare e forse anche quelle del suo recupero (da Associazione Italiana Balbuzie e Comunicazione, A.I.BA.COM).

Il trattamento EMDR per a balbuzie si può collocare dunque su due livelli di intervento:

I livello

Ricostruire gli eventi di vita immediatamente precedenti l’insorgenza della balbuzie, allo scopo di individuare l’eventuale presenza di situazioni traumatiche importanti (lutti, separazioni, nascita di fratelli, abusi,..) che possano aver portato all’espressione di questo sintomo in quel momento preciso della vita e non in un altro.

Gli eventi di vita negativi e traumatici, possono provocare dei blocchi in tutte le funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio,…) in base alle vulnerabilità genetiche, a fattori temperamentali o ambientali predisponenti, che ognuno di noi ha e che ci portano a sviluppare un disturbo piuttosto che un altro. In generale tutti i disturbi su base traumatica, qualunque sia l’abilità/capacità colpita, sono l’esito inizialmente funzionale di una ri-organizzazione emotiva e cognitiva delle risorse mentali. Strategie di coping quindi necessarie per gestire lo stress, ma che nel lungo periodo diventano inutili e potenzialmente invalidanti.

I ricordi target su cui si lavora sono quindi gli eventi traumatici che hanno preceduto il primo episodio di balbuzie. Da lì si procede all’elaborazione, al fine di eliminare l’impatto emotivo di quegli eventi.

Tutti i sintomi reattivi ad uno stress/trauma hanno una funzione evolutiva importante che va compresa e rielaborata, prima di poter affrontare qualunque cambiamento, e la balbuzie può essere uno di questi.

Se l’esordio della balbuzie è immediatamente successivo ad un chiaro trauma vissuto dal paziente, l’intervento tempestivo con EMDR  ha una buona prognosi e permette di evitare le successive traumatizzazioni legate al disturbo stesso.

II livello

Individuare le prime esperienze di balbuzie e gli episodi traumatici correlati proprio alla manifestazione stessa del disturbo: ad esempio, la reazione dei coetanei o dei familiari di fronte a questa difficoltà, ricordi traumatici delle prime interrogazioni a scuola, ricordi di umiliazioni subite o di timore rispetto alla propria condizione.

Tutti questi ricordo hanno un ruolo centrale in quella che viene definita “ansia anticipatoria”, legata proprio all’aspettativa di sbagliare, di essere giudicati o umiliati o ritenuti sciocchi. Questi sono in genere potenti fattori di mantenimento del disturbo e possono interferire con il processo riabilitativo, causando blocchi e graduale limitazione nelle attività quotidiane in cui si è costretti ad esporsi a situazioni potenzialmente invalidanti.

I ricordi target su cui si lavora sono, in questo caso, gli episodi di invalidazione/umiliazione/frustrazione vissuti come conseguenza del proprio disturbo, poiché tutte le situazioni a loro simili fungono da “attivatori” (trigger) dell’ansia e sono in genere peggiorativi del disturbo.

L’impatto sociale, lavorativo e psicologico di questo disturbo è ancora molto forte e spesso non è sempre facile accedere alle cure migliori o ricevere una chiara diagnosi sull’origine del proprio disturbo. 

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Memoria, olfatto e … la prospettiva di Anton Egò!

Anton EgòPer chi avesse visto il celebre film d’animazione Ratatouille, storia di un topolino parigino, Remy, che vuole diventare chef,  non sarà difficile intuire il valore e l’importanza della “prospettiva” nelle nostre capacità di giudicare un’esperienza, fosse anche un piatto di ratatouille! Il celebre e temutissimo critico Antòn Egò invitato all’assaggio del piatto di Remy, vivrà un vero e proprio flash back che lo farà magicamente tornare alla sua infanzia, agli odori della sua vecchia casa, alle immagini della madre che cucina per lui e ..alle emozioni antichissime che quel piatto ha come per magia risvegliato.

Meravigliosa sintesi di moltissime ricerche sul legame tra olfatto e memoria, la “prospettiva” citata da Egò ci aiuta a capire quanto un odore possa condizionare i nostri giudizi, soprattutto se le emozioni che sprigiona sono molto intense.

Le neuroscienze hanno ormai ampiamente descritto i circuiti neurali capaci di immagazzinare ricordi significativi della nostra vita: sistema limbico, ippocampi, cortecce temporo-laterali e occipitali sono tutti immediatamente attivati da stimoli olfattivi per noi salienti, ma il legame con gli odori risulta ancora più evidente quando parole o stimoli solamente verbali riescono ad attivare, oltre alle cortecce orbito-frontali, anche parte delle stesse aree olfattive in assenza dell’odore (Arshamian, 2012).

Questi dati ci dicono qualcosa di molto importante:  per quanto alcuni ricordi siano stati brutalmente allontanati in un remoto angolino della nostra mente, le sensazioni fisiche possono essere recuperate se ci troviamo per un attimo a “respirare la stessa aria”.

Un recente lavoro pubblicato da un gruppo di ricercatori giapponesi (Masaoka et al, 2012), si è occupato di indagare il legame tra respirazione lenta ed emozioni attraverso l’utilizzo di odori legati alla memoria autobiografica. L’ipotesi è che attraverso la respirazione le informazioni olfattive arrivino direttamente alle strutture limbiche legate alla memoria  e che respiro dopo respiro queste informazioni siano in grado di attivare il sistema limbico e ri-svegliare letteralmente i ricordi e le emozioni associate a quello specifico odore. I risultati sono chiari: quando viene inalato l’odore collegato ad una qualche esperienza di vita, il respiro si fa più lento e profondo, l’arousal fisico ed emotivo più intensi e aumenta infine persino il dettaglio con cui viene ricordata l’esperienza. I soggetti più ansiosi sono inclini a vivere i flash back in modo più intenso ed intrusivo.

L’esperimento descrive in realtà un’esperienza molto comune e piuttosto spontanea che tutti noi abbiamo avuto almeno una volta nella vita: viaggiare nel tempo dopo aver sentito un odore!

Sapere che c’è un meccanismo neurale specifico che permette questo è tuttavia interessante sia dal punto di vista scientifico, che terapeutico. L’EMDR così come molte tecniche di rievocazione di memorie traumatiche, possono avvalersi di questi meccanismi neurali per ricostruire, partendo da appunto da un odore, molti aspetti dell’evento e favorire così un più rapido recupero delle emozioni e dei pensieri ad esso collegati, che possono diventare materiale importantissimo da discutere in terapia.

Anton Egò2

Molti ricordi traumatici vengono infatti dimenticati o completamente “rimossi”, ma spesso  il loro potenziale stressante rimane congelato nel corpo e nella mente, sotto forma di sensazioni fisiche sgradevoli e disturbanti, che sono spesso proprio i sintomi lamentati da chi richiede una consultazione.

Questi pattern tendono a riattivarsi in modo identico al passato quando si entra in contatto con uno stimolo qualunque associato a quell’esperienza:  può succedere così di sognare ad occhi aperti di fronte all’odore di minestrina o spaventarci a morte di fronte ad un profumatissimo mazzo di fiori!

Camilla Marzocchi

Arshamian, A., Iannilli, E., Gerber , J.C., Willander, J.,Persson, J., Han-Seok Seo, Hummel, T., Larsson, M. The functional neuroanatomy of odor evoked autobiographical memories cued by odors and words, Neuropsychologia (2012), http://dx.doi.org/10.1016/j.neuropsychologia.2012.10.023

Masaoka, Y, Sugiyama, H., Katayama, A., Kashiwagi, M., and Homma, I. Slow Breathing and Emotions Associated with Odor-Induced Autobiographical Memories. Chemical Senses, (2012) 37: 379–388.

Lavorare sul trauma con l'EMDR.

Cos’è l’EMDR?

Si tratta di un metodo di lavoro che permette di lavorare sui ricordi traumatici e di ri-elaborarli in modo più funzionale, collocandoli nel proprio percorso di vita e riducendo l’effetto disturbante generalmente legato alla rievocazione del ricordo. Il processo terapeutico è caratterizzato da una prima fase di recupero dei principali eventi di vita, considerati traumatici e attualmente disturbanti, e una seconda fase di elaborazione degli elementi essenziali del ricordo in una chiave di lettura più “sana”, decentrata e priva degli effetti negativi, sul piano fisico ed affettivo, che quel evento aveva prima del trattamento.

emdr

L’EMDR sta per Eyes Movement Desensitization and Reprocessing e si basa sulla teoria dell’Elaborazione Accellerata dell’Informazione (AIP). In breve, questo modello della mente afferma che ogni essere umano è dotato di un sistema neurologico e fisiologico che permette di elaborare le informazioni in entrata (eventi, pensieri, emozioni,..) mantenendo un equilibrio tra lo stato del sistema “prima” e “dopo” l’ingresso di quell’informazione. Questa tendenza all’equilibrio permetterebbe alla mente di andare sempre verso una risoluzione adattiva e funzionale, in cui la mente riesce ad integrare vecchie e nuove informazioni e a recuperare l’equilibrio perso. Gli elementi che si vanno ad integrare sono: esperienze, emozioni, pensieri, reazioni fisiologiche e comportamenti.

Sia le esperienza positive che quelle negative possono quindi essere affrontate ed elaborate in modo autonomo ed efficace dalla nostra mente e su tutti i livelli (fisico, emotivo, cognitivo e comportamentale). In alcuni casi, tuttavia, le reazioni  che si attivano in risposta ad un episodio traumatico faticano ad essere integrate nel sistema e si genera quello che viene definito un pattern continuo di emotività: la reazione emotiva ad un evento non dura cioè il tempo necessario ad essere elaborata in modo adattivo, ma continua a manifestarsi anche a distanza di tempo e in assenza dello stimolo che l’aveva provocata. Diventa appunto un pattern che si riattiva quando una sensazione, un pensiero o un emozione simili a quelle provate in occasione di quel unico evento traumatico, vengono ri-esperiti o rievocati.

L’emotività e le sensazioni fisiche legate a quell’evento restano come “congelate” nella rete neurale e isolate dagli altri eventi di vita, in una perpetua attivazione che difficilmente viene spenta senza un intervento terapeutico specifico. L’esempio più tipico è il Disturbo da Stress Post-Traumatico, per cui l’EMDR è il trattamento d’elezione secondo l’Evidence Based Medicine.

Quali traumi causano l’attivazione del pattern continuo di emotività?

La gravità del trauma è legata innanzitutto alla reale o soggettiva percezione di essere in pericolo di vita.

Quindi tutte le situazioni  in cui questa minaccia è stata percepita come reale, sono situazioni potenziali per sviluppare un pattern continuo di emotività disturbante. E’ questo il caso degli abusi sessuali, degli incidenti, della catastrofi naturali. Una seconda situazione è quella dei traumi ripetuti, cioè traumi soprattutto relazionali in cui non si è sperimentato un vero e proprio pericolo di vita, ma in cui una particolare emozione si sia attivata in modo frequente e disfunzionale e senza dare la possibilità di una elaborazione completa dell’evento (Es: un clima familiare molto conflittuale in cui si è assistito a frequenti e intensi litigi tra i genitori).

L’intervento attraverso l’EMDR permette innanzitutto di sciogliere questo pattern di attivazione, molto disturbante e non più utile rispetto al passato, e di aprire lo spazio per una nuova elaborazione più adattiva dell’evento traumatico.

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