Cos'è l'EMDR?

L’EMDR è un approccio complesso utilizzato per elaborare eventi traumatici e consiste in una metodologia strutturata che può essere integrata nei programmi terapeutici aumentandone l’efficacia.
Il modello considera tutti gli aspetti di una esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici e vede nella patologia il “sintomo” di un’informazione immagazzinata in modo non funzionale, su tutti i livelli: cognitivo, emotivo, sensoriale e fisiologico.
Quando avviene un evento ”traumatico” l’equilibrio tra le nostre reti neurali (eccitatorie e inibitorie) viene disturbato e l’elaborazione di conseguenza resta bloccata, come “congelata” nella sua forma ansiogena originale. Questo è il modo in cui le sensazioni del passato si ripropongono come “sintomi” nel presente.
Questa metodologia si fonda su un processo neurofisiologico naturale, legato all’elaborazione accelerata dell’informazione (AIP) e utilizza movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio neuro fisiologico, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali.
I movimenti oculari saccadici e ritmici usati con l’immagine traumatica, con le convinzioni negative ad essa legate e con il disagio emotivo facilitano infatti la rielaborazione dell’informazione fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. Nella risoluzione adattiva l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo.
Le ricerche condotte su vittime di violenze sessuali, di incidenti, di catastrofi naturali, ecc. indicano che il metodo permette una desensibilizzazione rapida nei confronti dei ricordi traumatici e una ristrutturazione cognitiva che porta a una riduzione significativa dei sintomi del paziente (stress emotivo, pensieri invadenti, ansia, flashback, incubi).
L’EMDR è usato fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente.
Queste esperienze traumatiche possono consistere in:

  • Piccoli/grandi traumi subiti nell’età  dello sviluppo
  • Eventi stressanti  nell’ambito delle esperienze comuni (lutto, malattia cronica, perdite finanziarie, conflitti coniugali, cambiamenti)
  • Eventi stressanti al di fuori dell’esperienza umana consueta quali disastri naturali (terremoti, inondazioni) o disastri provocati dall’uomo (incidenti gravi, torture, violenza)

Negli ultimi anni ci sono stati più studi e ricerche scientifiche sull’EMDR che su qualsiasi altro metodo usato per il trattamento del trauma e dei ricordi traumatici. I risultati di questi lavori hanno portato questo metodo terapeutico ad aprire una nuova dimensione nella psicoterapia. L’efficacia dell‘EMDR è stata dimostrata in tutti i tipi di trauma, sia per il Disturbo Post Traumatico da Stress che per i traumi di minore entità . Nel 1995 il Dipartimento di Psicologia Clinica dell’American Psychological Association (APA) ha condotto una ricerca per definire il grado di efficacia di questo metodo terapeutico e le conclusioni sono state che l’EMDR è non solo efficace nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico ma che ha addirittura l’indice di efficacia più alto per questa categoria diagnostica.
(Fonte: Associazione EMDR Italia )
EMDR Institute USA
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Stress post-traumatico: come riconoscerlo?

Sempre più spesso si sente parlare di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) e la sua presenza in film e telefilm è quasi sempre associata ad ambienti militari, situazioni di guerra o a grandi catastrofi naturali.

Immagine tratta dal film "Valzer con Bashir" di Ari Folman (2008)
Immagine tratta dal film “Valzer con Bashir” di Ari Folman (2008)

“(1) Aver vissuto o aver assistito a uno o più eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte o grave minaccia all’integrità fisica propria o altrui e (2) aver provato di fronte a tali eventi intensa paura, impotenza e orrore” (DSM IV) sono le due condizioni necessarie per determinare la diagnosi di disturbo da stress post-traumatico. Oltre alle guerre e alle catastrofi, vengono in mente allora molte situazioni traumatiche e spesso più frequenti nella vita quotidiana e nell’esperienza clinica: violenze, fisiche o verbali, ricevute o assistite, incidenti, aggressioni, interventi chirurgici, lutti solo per citarne alcuni.

I sintomi più celebri, nonché i più frequenti per parlare di DPTS, sono i flashback degli eventi traumatici, rivissuti nel presente in modo vivido e spesso molto realistico, tanto da sembrare vere e proprie allucinazioni. Seguono poi insonnia, incubi, irritabilità, stato costante di allerta, difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, eccessiva reattività a stimoli non pericolosi o neutri collegati in qualche modo all’evento traumatico. Tutti i “sintomi” descritti, sono in realtà NORMALI REAZIONI ad eventi traumatici che hanno in sé le caratteristiche sopra descritte, quando tuttavia compaiono per un periodo di tempo prolungato possono causare eccessivo malessere e l’assunzione di condotte invalidanti per la vita di chi ne è affetto e dei suoi familiari. Riconoscere tempestivamente i sintomi e intervenire con terapie adeguate costituiscono ovviamente elementi cruciali per una buona prognosi.

Ma continuiamo sui sintomi più frequenti per imparare a riconoscerli…

Oltre alle reazioni descritte, ce ne sono alcune meno note che mi preme descrivere, poiché molto più frequenti nell’esperienza comune di coloro che soffrono di stress post traumatico e ugualmente spaventanti, se non ri-conosciute come tali.

Senso di irrealtà: sensazione di essere in un film o in un sogno, di osservare la realtà da sotto una campana di vetro, di non essere appieno dentro al situazione, di sentirsi distaccati, disinteressati a quello che succede intorno —– spesso confuso come semplice attacco i panico, se si presenta come unico sintomo.

Reazioni fisiche intense: nausea, difficoltà di digestione, stanchezza cronica, spossatezza —– spesso confuse con malattie organiche, attacco di panico o ipocondria.

Vulnerabilità: sentirsi più esposti può determinare un pervasivo timore per il futuro o la scomparsa di interesse per attività prima considerate fondamenti della propria vita (lavoro, attività sportive, hobby..). Questi cambiamenti hanno ripercussioni relazionali anche gravi, con familiari e amici —- spesso associato a sintomi depressivi primari o ad aspetti di personalità problematici.

Pensieri intrusivi: pensieri catastrofici che arrivano improvvisamente mentre si sta lavorando o mangiando o guidando l’automobile. Sono spesso collegati all’evento traumatico vissuto, ma la loro comparsa imprevedibile li fa percepire come fuori controllo. —- spesso associato ad ansia generalizzata.

Significato della vita: spesso chi ha subito un forte trauma inizia a farsi domande sul senso della vita, sul perché esistiamo, tutto diventa incerto, tutto perde di senso e le certezze possedute sembrano irrecuperabili dopo la traumatizzazione. —- spesso associato a sintomi depressivi primari (ruminazione).

NB: Spesso i sintomi non compaiono immediatamente dopo il trauma, ma possono manifestarsi alcuni mesi dopo o talora diversi anni dopo, al presentarsi di un nuovo evento traumatico o di una situazione che riporti alla memoria l’evento del passato. Questo quadro clinico richiede ovviamente una dettagliata raccolta anamnestica ed eventualmente l’utilizzo di tecniche mirate a recuperare i ricordi antichi collegati ai problemi attuali. Una volta identificata l’origine traumatica dei sintomi, la prognosi diventa migliore grazie alle molte e validate tecniche terapeutiche (es. EMDR) ad oggi ampiamente utilizzate nella cura del DPTS.

La diagnosi e il trattamento necessitano in ogni caso dell’attenta valutazione di un clinico e in nessun modo la lettura delle informazioni fornite in questo articolo può sostituirsi alla consultazione con uno specialista. I sintomi descritti possono aiutare a leggere in modo più preciso, alcune sensazioni comuni che altrimenti possono restare incomprensibili e “spaventose” per chi si trova a viverle.

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Balbuzie ed EMDR

Nonostante le molte ricerche in ambito psicologico, neurologico, linguistico, non sono chiare le origine della balbuzie e i motivi esatti della sua insorgenza che può variare dai primissimi anni di vita, all’età adulta. Come molte situazioni croniche legate allo stress, anche la balbuzie può essere condizionata o peggiorata dalla presenza di eventi stressanti o traumatici di vario tipo. La prognosi è sicuramente più negativa se ci sono episodi di balbuzia presenti in famiglia o precedenti nella vita del paziente, ma in generale si tratta di un disturbo che può essere trattato come un disturbo primario del linguaggio, laddove vengano escluse altre cause scatenanti. Nessun dato certo sulla presenza di patologie psichiatriche in pazienti balbuzienti, né presenza di tratti di personalità particolarmente predisponenti a sviluppare questo disturbo. Quello che è certo però è che si tratta di un disturbo molto invalidante, spesso alla base dello sviluppo di disturbi psicologici secondari che possono peggiorare i sintomi e rendere la riabilitazione più complessa.

Intanto qualche definizione.

«La balbuzie è un disordine nel ritmo della parola per cui il paziente sa cosa vorrebbe dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà. […] La balbuzie […] ha natura intermittente e multidimensionale, poiché appare condizionata da variabili di natura socioculturale, psicologica, fisiologica e genetica, e come tale può essere descritta a molteplici livelli […]. La definizione e la diagnosi tradizionali di balbuzie si basano sulla rilevazione uditiva e valutazione qualitativa delle disfluenze, che per numero, tipo, durata e posizione sono giudicate anomale e qualificano chi le produce come balbuziente.» (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1977).

w.allenLa balbuzie interessa circa l’1% della popolazione mondiale, ma circa il 5% può dire di averne sofferto in qualche misura nel corso della sua vita. La differenza tra i due tassi è spiegabile con l’alta percentuale di remissione, circa il 75-80%, che avviene per lo più spontaneamente dai 12 ai 18 mesi di distanza dal momento dell’insorgenza, e che è da collocare tipicamente nella prima infanzia. Per il 75 % dei soggetti colpiti da balbuzie l’insorgenza si situa dai 18 ai 41 mesi, quando le abilità linguistiche, cognitive e motorie del bambino sono interessate da un rapido processo di maturazione e sviluppo, l’età media d’insorgenza è di 32 mesi e vi è una scomparsa virtuale di nuovi casi dopo i 12 anni. Le ricerche di tipo genetico basate sugli antecedenti famigliari e sulla gemellarità monozigote fanno ritenere che la balbuzie venga trasmessa per via genetica, e anche se il meccanismo di trasmissione resta sconosciuto, il tipo di legame parentale e il sesso contribuiscono a determinare le probabilità che un bambino cominci a balbettare e forse anche quelle del suo recupero (da Associazione Italiana Balbuzie e Comunicazione, A.I.BA.COM).

Il trattamento EMDR per a balbuzie si può collocare dunque su due livelli di intervento:

I livello

Ricostruire gli eventi di vita immediatamente precedenti l’insorgenza della balbuzie, allo scopo di individuare l’eventuale presenza di situazioni traumatiche importanti (lutti, separazioni, nascita di fratelli, abusi,..) che possano aver portato all’espressione di questo sintomo in quel momento preciso della vita e non in un altro.

Gli eventi di vita negativi e traumatici, possono provocare dei blocchi in tutte le funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio,…) in base alle vulnerabilità genetiche, a fattori temperamentali o ambientali predisponenti, che ognuno di noi ha e che ci portano a sviluppare un disturbo piuttosto che un altro. In generale tutti i disturbi su base traumatica, qualunque sia l’abilità/capacità colpita, sono l’esito inizialmente funzionale di una ri-organizzazione emotiva e cognitiva delle risorse mentali. Strategie di coping quindi necessarie per gestire lo stress, ma che nel lungo periodo diventano inutili e potenzialmente invalidanti.

I ricordi target su cui si lavora sono quindi gli eventi traumatici che hanno preceduto il primo episodio di balbuzie. Da lì si procede all’elaborazione, al fine di eliminare l’impatto emotivo di quegli eventi.

Tutti i sintomi reattivi ad uno stress/trauma hanno una funzione evolutiva importante che va compresa e rielaborata, prima di poter affrontare qualunque cambiamento, e la balbuzie può essere uno di questi.

Se l’esordio della balbuzie è immediatamente successivo ad un chiaro trauma vissuto dal paziente, l’intervento tempestivo con EMDR  ha una buona prognosi e permette di evitare le successive traumatizzazioni legate al disturbo stesso.

II livello

Individuare le prime esperienze di balbuzie e gli episodi traumatici correlati proprio alla manifestazione stessa del disturbo: ad esempio, la reazione dei coetanei o dei familiari di fronte a questa difficoltà, ricordi traumatici delle prime interrogazioni a scuola, ricordi di umiliazioni subite o di timore rispetto alla propria condizione.

Tutti questi ricordo hanno un ruolo centrale in quella che viene definita “ansia anticipatoria”, legata proprio all’aspettativa di sbagliare, di essere giudicati o umiliati o ritenuti sciocchi. Questi sono in genere potenti fattori di mantenimento del disturbo e possono interferire con il processo riabilitativo, causando blocchi e graduale limitazione nelle attività quotidiane in cui si è costretti ad esporsi a situazioni potenzialmente invalidanti.

I ricordi target su cui si lavora sono, in questo caso, gli episodi di invalidazione/umiliazione/frustrazione vissuti come conseguenza del proprio disturbo, poiché tutte le situazioni a loro simili fungono da “attivatori” (trigger) dell’ansia e sono in genere peggiorativi del disturbo.

L’impatto sociale, lavorativo e psicologico di questo disturbo è ancora molto forte e spesso non è sempre facile accedere alle cure migliori o ricevere una chiara diagnosi sull’origine del proprio disturbo. 

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LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino

grande-bellezza-verdone-e-servilloIl vestito più bello per coprire un corpo svuotato, segretamente preoccupato di non essere all’altezza dell’abito che porta e minacciato dall’implacabile occhio degli altri, pronti a coglierlo in fallo: la grande bellezza sembra allora l’unica maschera possibile per tutti i personaggi.

Nel suo ennesimo incredibile lavoro, Sorrentino riesce di nuovo a descrivere una fetta di umanità in modo profondissimo, senza descriverla affatto.  Gli dà vita, la lascia libera di raccontarsi nel modo peggiore, ma osservandone sempre le sofferenze e contraddizioni.

Seguire Servillo mentre cammina e fuma sul lungotevere alle prime luci dell’alba e poter sentire quello che sta pensando è il vero miracolo che un bravo sceneggiatore riesce a realizzare.

Nessuna parola, solo l’intuizione nascosta dietro quei passi.

Tra la moltitudine di considerazioni possibili, mi ha colpito una caratteristica del modo che ha Sorrentino di raccontare le cose, per via forse del legame che colgo con il mio lavoro: l’ammirazione e il profondo rispetto per le storie. Il grottesco viene rappresentato continuamente a delineare l’esteriorità dei personaggi, senza però che mai il contatto emotivo con loro che lì si muovono venga meno all’attenzione di chi osserva.  Gep e i suoi amici intellettuali, sembrano rappresentare un gruppo di “sfumature”, di possibili reazioni al tirannico terrore di non avere valore, di non appartenere, di non essere.

Un senso di inadeguatezza aleggia tra i commensali, mentre la regia ce lo mostra delicatamente, senza volerlo affrontare a viso aperto, né esporlo ad un terribile e definitivo giudizio.

Essere un bluff è quello che nessuno mai vorrebbe scoprire di sé e Sorrentino sembra intuirlo bene e perciò se ne tiene alla larga, più interessato all’analisi e alla comprensione delle umane paure.

Una volta un amico mi ha raccontato quello che per me è stata una rivelazione assoluta: nella stesura di una buona sceneggiatura, le storie di ognuno dei personaggi vengono immaginate e scritte per intero, soprattutto la parte delle loro storie che nel film non compare. Viene creata a posteriori una vera e propria storia di vita: viene immaginata e descritta la famiglia, che tipo di madre o che tipo di padre può aver avuto quel personaggio, se ha o no dei fratelli e che rapporti li legano, quali sono stati i principali eventi della sua vita. Viene scritto dove e perché quel personaggio ha imparato a reagire così alla gioia o al dolore, viene scritto come e quando ha scelto quel particolare modo di camminare, di parlare, di vestirsi e di muoversi nel mondo. La sua storia viene insomma pensata e scritta in modo dettagliatissimo, per restare poi solo nella mente di chi racconta. Se infine qualcosa nella storia risulta incoerente è possibile che sia il personaggio a doversi adattare, a dover “giustificare” la dissonanza rispetto alla sua storia.

Una scoperta per me entusiasmante!

Ecco, la potenza de La grande bellezza sta per me proprio qui: nella sensazione chiara e forte che ogni personaggio sia portatore di un percorso, di una storia che viene da lontano e di cui sceglie di condividere solo una parte, sperando intimamente che non venga giudicata.

Il film diventa allora una “finestra” sulla vita di quel personaggio, un momento che ci è concesso di osservare in silenzio.

Stress Post Traumatico e Disturbo Ossessivo: un caso clinico

Un recente studio olandese (Nijdam et al, 2013) descrive il caso di un paziente con diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo (DOC) ad insorgenza post traumatica; la diagnosi e le prospettive di lavoro cambiano radicalmente quando i sintomi sono reattivi ad eventi traumatici e un trattamento che ne tenga conto è più sicuro e più efficace per la remissione totale dei sintomi.

Sia nel disturbo ossessivo che nel disturbo post-traumatico c’è una tendenza al controllo, che può manifestarsi nel primo caso con rituali compulsivi e nel secondo con evitamento delle situazioni temute o con uno stato di ipervigilanza sull’ambiente. In una quadro traumatico complesso in cui si manifestano entrambe le sintomatologie, il DOC potrebbe avere la funzione adattiva di “regolare le emozioni negative” legate al trauma, cioè di ridurne l’intensità, attraverso l’uso di rituali che sono completamente sotto controllo della persona e che aiutano la mente a focalizzarsi nel presente, inibendo l’attivazione delle intrusioni e dei ricordi traumatici.
Come sempre la mente si adatta al meglio che può, è importante capire questi meccanismi di adattamento e “disinnescarli” nel presente.
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Memoria, olfatto e … la prospettiva di Anton Egò!

Anton EgòPer chi avesse visto il celebre film d’animazione Ratatouille, storia di un topolino parigino, Remy, che vuole diventare chef,  non sarà difficile intuire il valore e l’importanza della “prospettiva” nelle nostre capacità di giudicare un’esperienza, fosse anche un piatto di ratatouille! Il celebre e temutissimo critico Antòn Egò invitato all’assaggio del piatto di Remy, vivrà un vero e proprio flash back che lo farà magicamente tornare alla sua infanzia, agli odori della sua vecchia casa, alle immagini della madre che cucina per lui e ..alle emozioni antichissime che quel piatto ha come per magia risvegliato.

Meravigliosa sintesi di moltissime ricerche sul legame tra olfatto e memoria, la “prospettiva” citata da Egò ci aiuta a capire quanto un odore possa condizionare i nostri giudizi, soprattutto se le emozioni che sprigiona sono molto intense.

Le neuroscienze hanno ormai ampiamente descritto i circuiti neurali capaci di immagazzinare ricordi significativi della nostra vita: sistema limbico, ippocampi, cortecce temporo-laterali e occipitali sono tutti immediatamente attivati da stimoli olfattivi per noi salienti, ma il legame con gli odori risulta ancora più evidente quando parole o stimoli solamente verbali riescono ad attivare, oltre alle cortecce orbito-frontali, anche parte delle stesse aree olfattive in assenza dell’odore (Arshamian, 2012).

Questi dati ci dicono qualcosa di molto importante:  per quanto alcuni ricordi siano stati brutalmente allontanati in un remoto angolino della nostra mente, le sensazioni fisiche possono essere recuperate se ci troviamo per un attimo a “respirare la stessa aria”.

Un recente lavoro pubblicato da un gruppo di ricercatori giapponesi (Masaoka et al, 2012), si è occupato di indagare il legame tra respirazione lenta ed emozioni attraverso l’utilizzo di odori legati alla memoria autobiografica. L’ipotesi è che attraverso la respirazione le informazioni olfattive arrivino direttamente alle strutture limbiche legate alla memoria  e che respiro dopo respiro queste informazioni siano in grado di attivare il sistema limbico e ri-svegliare letteralmente i ricordi e le emozioni associate a quello specifico odore. I risultati sono chiari: quando viene inalato l’odore collegato ad una qualche esperienza di vita, il respiro si fa più lento e profondo, l’arousal fisico ed emotivo più intensi e aumenta infine persino il dettaglio con cui viene ricordata l’esperienza. I soggetti più ansiosi sono inclini a vivere i flash back in modo più intenso ed intrusivo.

L’esperimento descrive in realtà un’esperienza molto comune e piuttosto spontanea che tutti noi abbiamo avuto almeno una volta nella vita: viaggiare nel tempo dopo aver sentito un odore!

Sapere che c’è un meccanismo neurale specifico che permette questo è tuttavia interessante sia dal punto di vista scientifico, che terapeutico. L’EMDR così come molte tecniche di rievocazione di memorie traumatiche, possono avvalersi di questi meccanismi neurali per ricostruire, partendo da appunto da un odore, molti aspetti dell’evento e favorire così un più rapido recupero delle emozioni e dei pensieri ad esso collegati, che possono diventare materiale importantissimo da discutere in terapia.

Anton Egò2

Molti ricordi traumatici vengono infatti dimenticati o completamente “rimossi”, ma spesso  il loro potenziale stressante rimane congelato nel corpo e nella mente, sotto forma di sensazioni fisiche sgradevoli e disturbanti, che sono spesso proprio i sintomi lamentati da chi richiede una consultazione.

Questi pattern tendono a riattivarsi in modo identico al passato quando si entra in contatto con uno stimolo qualunque associato a quell’esperienza:  può succedere così di sognare ad occhi aperti di fronte all’odore di minestrina o spaventarci a morte di fronte ad un profumatissimo mazzo di fiori!

Camilla Marzocchi

Arshamian, A., Iannilli, E., Gerber , J.C., Willander, J.,Persson, J., Han-Seok Seo, Hummel, T., Larsson, M. The functional neuroanatomy of odor evoked autobiographical memories cued by odors and words, Neuropsychologia (2012), http://dx.doi.org/10.1016/j.neuropsychologia.2012.10.023

Masaoka, Y, Sugiyama, H., Katayama, A., Kashiwagi, M., and Homma, I. Slow Breathing and Emotions Associated with Odor-Induced Autobiographical Memories. Chemical Senses, (2012) 37: 379–388.

Lavorare sul trauma con l'EMDR.

Cos’è l’EMDR?

Si tratta di un metodo di lavoro che permette di lavorare sui ricordi traumatici e di ri-elaborarli in modo più funzionale, collocandoli nel proprio percorso di vita e riducendo l’effetto disturbante generalmente legato alla rievocazione del ricordo. Il processo terapeutico è caratterizzato da una prima fase di recupero dei principali eventi di vita, considerati traumatici e attualmente disturbanti, e una seconda fase di elaborazione degli elementi essenziali del ricordo in una chiave di lettura più “sana”, decentrata e priva degli effetti negativi, sul piano fisico ed affettivo, che quel evento aveva prima del trattamento.

emdr

L’EMDR sta per Eyes Movement Desensitization and Reprocessing e si basa sulla teoria dell’Elaborazione Accellerata dell’Informazione (AIP). In breve, questo modello della mente afferma che ogni essere umano è dotato di un sistema neurologico e fisiologico che permette di elaborare le informazioni in entrata (eventi, pensieri, emozioni,..) mantenendo un equilibrio tra lo stato del sistema “prima” e “dopo” l’ingresso di quell’informazione. Questa tendenza all’equilibrio permetterebbe alla mente di andare sempre verso una risoluzione adattiva e funzionale, in cui la mente riesce ad integrare vecchie e nuove informazioni e a recuperare l’equilibrio perso. Gli elementi che si vanno ad integrare sono: esperienze, emozioni, pensieri, reazioni fisiologiche e comportamenti.

Sia le esperienza positive che quelle negative possono quindi essere affrontate ed elaborate in modo autonomo ed efficace dalla nostra mente e su tutti i livelli (fisico, emotivo, cognitivo e comportamentale). In alcuni casi, tuttavia, le reazioni  che si attivano in risposta ad un episodio traumatico faticano ad essere integrate nel sistema e si genera quello che viene definito un pattern continuo di emotività: la reazione emotiva ad un evento non dura cioè il tempo necessario ad essere elaborata in modo adattivo, ma continua a manifestarsi anche a distanza di tempo e in assenza dello stimolo che l’aveva provocata. Diventa appunto un pattern che si riattiva quando una sensazione, un pensiero o un emozione simili a quelle provate in occasione di quel unico evento traumatico, vengono ri-esperiti o rievocati.

L’emotività e le sensazioni fisiche legate a quell’evento restano come “congelate” nella rete neurale e isolate dagli altri eventi di vita, in una perpetua attivazione che difficilmente viene spenta senza un intervento terapeutico specifico. L’esempio più tipico è il Disturbo da Stress Post-Traumatico, per cui l’EMDR è il trattamento d’elezione secondo l’Evidence Based Medicine.

Quali traumi causano l’attivazione del pattern continuo di emotività?

La gravità del trauma è legata innanzitutto alla reale o soggettiva percezione di essere in pericolo di vita.

Quindi tutte le situazioni  in cui questa minaccia è stata percepita come reale, sono situazioni potenziali per sviluppare un pattern continuo di emotività disturbante. E’ questo il caso degli abusi sessuali, degli incidenti, della catastrofi naturali. Una seconda situazione è quella dei traumi ripetuti, cioè traumi soprattutto relazionali in cui non si è sperimentato un vero e proprio pericolo di vita, ma in cui una particolare emozione si sia attivata in modo frequente e disfunzionale e senza dare la possibilità di una elaborazione completa dell’evento (Es: un clima familiare molto conflittuale in cui si è assistito a frequenti e intensi litigi tra i genitori).

L’intervento attraverso l’EMDR permette innanzitutto di sciogliere questo pattern di attivazione, molto disturbante e non più utile rispetto al passato, e di aprire lo spazio per una nuova elaborazione più adattiva dell’evento traumatico.

Altri contributi su EMDR

A cosa servono le emozioni?

Gli scopi del nostro sentire.

Le emozioni, ormai lo sappiamo, sono segnali importanti che orientano il nostro agire e l’agire di chi ci osserva (vedi precedente contributo su Corpo ed Emozioni). Senza sentire e riconoscere le emozioni che stiamo provando, resteremmo probabilmente immobili di fronte ad un pericolo, impassibili davanti ad un amico che soffre o imperturbabili nel affrontare una prova per noi importante.

Tutto questo può succedere in ogni caso, ma quelle su citate posso essere reazioni ad un’emozione non completamente chiara o riconosciuta, oppure semplicemente il risultato di una scelta consapevole dettata da altri scopi, che non sono i più evidenti o comprensibili, la sopravvivenza, la conservazione della specie o la capacità di prepararsi di fronte ad una sfida.

L’avere una coscienza, qualunque cosa essa significhi, ci permette di ragionare sulle nostre emozioni, talora di decidere volontariamente di non considerarle o al contrario di considerarle l’unica chiave possibile per comprendere il nostro agire.

L’essere umano oscilla spesso tra razionalità estrema e rivendicazione della libertà ad essere impulsivi, spesso senza essere consapevoli, da nessuna delle due posizioni, di che ruolo abbiano le nostre emozioni, in un dato momento, contesto e relazione.

E così per alcuni arrabbiarsi sarà sempre inutile, per altri sempre necessario, per alcuni piangere sarà sempre inevitabile, per altri mai accettabile, per alcuni avere paura sarà un’esperienza quotidiana, per altri una condizione mai (consapevolmente) sperimentata. 

Una possibile cornice comune, per capire che ruolo hanno le nostre emozioni e l’importanza del saperle riconoscere, al di là del nostro modo soggettivo e personalissimo di manifestarle, è quella degli SCOPI.

Quali scopi sono sottesi alle emozioni principali?

Quali emozioni esplodono se uno o più degli scopi che abbiamo vengono impediti?

La cornice proposta è quella evoluzionistica, non solo in termini di sopravvivenza della specie, ma soprattutto in relazione all’agire umano all’interno di un contesto innanzitutto sociale, collettivo e condiviso da tutti. Alcune emozioni sono più legate a scopi primari, legate cioè alla nostra sopravvivenza, altre sono legate a scopi sociali, altrettanto importanti poiché legati al nostro “stare nel branco”- nel gruppo di appartenenza – e ci garantiscono di mantenere una buona immagine e di definire il nostro ruolo all’interno del gruppo.

Sia le emozioni negative che quelle positive hanno una funzione, possono essere più o meno difficili da tollerare ma TUTTE hanno un senso. In quest’ottica nessuna emozione può essere sbagliata, sciocca, esagerata…è lo scopo che in quel momento è stato frustrato a fare la differenza!

Un esempio:

PAURA/ANSIA  —— Proviamo paura quando percepiamo o ipotizziamo una minaccia ad un nostro scopo (es: sopravvivere ad un pericolo, superare un esame). 

La paura ha SEMPRE una funzione PREVENTIVA, dispone infatti l’organismo ad agire affinché il pericolo non si realizzi (es: scappare o attaccare, rispondere alle richieste che ci vengono fatte).

Provando a pensare per ogni emozione sotto elencata una situazione target in grado di farla rivivere, valutate lo scopo descritto e verificate il suo legame con il vostro agire in quella data situazione.

Per scaricare una scheda completa delle emozioni e dei loro scopi CLICCA QUI

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Qual è il legame tra corpo ed emozioni?

Le emozioni sono un importantissimo segnale di come stiamo, di quello che ci succede e permettono agli altri di comprendere il nostro stato d’animo in una determinata situazione.

Tutte le emozioni inviano le “informazioni emotive” necessarie in due diverse direzioni: 1- una interna, riconosciamo di essere tristi quando abbiamo pensieri negativi costanti, ci sentiamo di non avere energie, né voglia di fare niente, abbiamo lo stomaco chiuso o non riusciamo a smettere di piangere, e 2- una esterna, gli altri si accorgono che siamo tristi perché ci vedono piangere, o perché abbiamo la bocca al ingiù, lo sguardo spento, la postura “afflosciata”, parliamo poco o affatto, tendiamo ad isolarci.

Tutte le emozioni, nessuna esclusa, sono segnali importanti, normali e ci guidano nel raggiungere degli scopi fondamentali per la nostra vita e per la nostra sopravvivenza.

Che succederebbe se non provassimo paura davanti ad un pericolo? O tristezza alla perdita di una persona cara? O colpa per aver arrecato un danno a qualcuno?  O rabbia di fronte ad  un’ingiustizia?

Anche le emozioni più intense e intollerabili vanno ascoltate e ci segnalano, spesso con forza, che qualcosa non va e che forse vale la pena di fermarci a capire. Spesso quando si parla di “disagio emotivo”, si rischia di confondere le emozioni, sempre legittime, comprensibili e utili, con le reazioni alle emozioni, che possono invece essere eccessive, illegittime e “sbagliate”, soprattutto se arrecano danno a noi stessi o agli altri.

La comprensione delle emozioni, della loro legittimità e dei pensieri che le accompagnano, sono spesso argomento centrale della psicoterapia e costituiscono quasi sempre la chiave di lettura per capire ed analizzare situazioni di malessere psicologico e di conflitto interpersonale. Capita spesso infatti che proprio in condizioni di difficoltà e di malessere psicologico, facciamo fatica a riconoscere le nostre emozioni , a fermare i pensieri che le accompagnano e capirne in ultimo le motivazioni che hanno contribuito a scatenarle.. proprio quando ne avremmo più necessità!

Il primo passo per avvicinarci alla comprensione delle emozioni è dunque riconoscerle su noi stessi, prima ancora di riuscire a comunicarle. Come fare??

 …Chiediamolo al corpo!

Ogni emozione si accompagna a delle sensazioni fisiche, spesso molto intense, a volte meno, che possono farci da guida nell’identificare il nostro stato interno e che spesso tuttavia non riusciamo ad identificare.

A volte può capitare di sentire improvvisamente un nodo alla gola, avere la sensazione di arrossire, tenere lo sguardo basso, provare un intenso desiderio di nascondersi, sentirsi agitati e nervosi, …. quale emozione si è attivata in questo caso?

E’ probabile che, nella comune esperienza di tutti, queste sensazioni richiamino alla mente una situazione in cui abbiamo provato un’intensa emozione di vergogna.

Proviamo con un altro esempio: in quale circostanza vi è capitato di sentirvi tesi, rigidi, sul punto di esplodere o di perdere il controllo, di sentire il viso infiammarsi improvvisamente, i muscoli delle braccia e delle gambe contrarsi, e un senso diffuso di irrequietezza e agitazione?

E’ probabile che poco prima di sentirvi così, qualcosa o qualcuno vi abbia fatto arrabbiare e perdere le staffe, per qualcosa che voi ritenevate ingiusto o contrario alle vostre aspettative.

Così come la rabbia e la vergogna, ogni emozione ha dei marker somatici, cioè delle sensazioni fisiche precise che ci segnalano l’emozione attiva in quel momento, e che spesso vengono erroneamente interpretati come veri e propri segnali di malessere fisico.

Ripensando all’esempio della rabbia: cosa succederebbe se ci trovassimo ad esperire tutte le sensazioni fisiche su citate, senza la benché minima consapevolezza di essere semplicemente arrabbiati?

Con ogni probabilità proveremo paura e incredulità per le reazioni del nostro corpo, preoccupazione che qualcosa di brutto ci stia accadendo, cercheremo di calmarci in qualche modo, respirando lentamente, facendo una passeggiata,…ma di sicuro non affronteremo quello che ci ha fatto arrabbiare: questo è un esempio di circolo vizioso che spesso colpisce le persone che vivono periodi intensi di stress o che si trovano ad affrontare un vero e proprio disturbo d’ansia (disturbo di panico, agorafobia, ansia generalizzata, ipocondria,..).

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Come curare le ossessioni?

Un volta identificata la presenza di “ossessioni patologiche” (vedi contributo: Come riconoscere quando le ossessioni diventano patologiche?), è necessario rivolgersi ad uno specialista per verificare che la diagnosi sia corretta e scegliere di sottoporsi ad un trattamento specifico. In alcuni casi è consigliabile accompagnare  il percorso psicologico con un trattamento farmacologico (in genere antidepressivi SSRI).

L’indagine sul sintomo e su come si è sviluppato e mantenuto negli anni è la base da cui partire per un buona trattamento terapeutico. Come per molti gli altri disturbi d’ansia, i primi aspetti da indagare e chiarire sono:

  • la prima volta che sono comparsi pensieri intrusivi o compulsioni (esordio);
  • le situazioni, i pensieri e le emozioni legate a quel momento;
  • indagare gli elementi che hanno favorito l’insorgere della sintomatologia nel periodo precedente l’esordio: stress sul lavoro, conflitti familiari, malattia, lutti (fattori di scompenso);
  • indagare i fattori che contribuiscono oggi a mantenere vivi i sintomi riferiti (fattori di mantenimento).

La TCC offre numerosi protocolli che permettono, a questo punto, di costruire un percorso di cura che tenga conto di tutti gli aspetti analizzati e del ruolo che i sintomi hanno nella vita della persona. L’Esposizione con Prevenzione della Risposta (E/RP) è un intervento di dimostrata efficacia per il trattamento dei disturbi d’ansia, in particolare per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e per il Disturbo di Panico: questo metodo è in grado di produrre una riduzione stabile dei sintomi anche dopo anni dalla fine del trattamento e il cambiamento sintomatologico non si risolve semplicemente in uno spostamento del sintomi ma esita in un  cambiamento esteso e stabile (Lakatos e Reinecker, 1999). Il principio guida di questo metodo è quello dell’abituazione, che potremmo definire come “un decremento della risposta (emotiva e fisiologica) dovuto a stimolazione (esposizione) ripetuta”.

In soldoni: qualunque stimolo che sia percepito da noi come minaccioso e/o disgustoso (es: il lavandino sporco, la scrivania in disordine, un gatto nero che ci attraversa la strada) provoca in genere un’intensa risposta fisiologica, emotiva e mentale ogni volta che ci viene presentato; questa risposta sarà sempre la stessa e produrrà tendenzialmente la medesima reazione comportamentale: fuga o comportamento “di annullamento” (compulsione)!

Quando invece siamo “costretti” da circostanze particolari di vita (o da un trattamento psicologico) ad esporci a quello stesso stimolo – temuto e/o disgustoso – più volte al giorno e per un certo periodo di tempo, lentamente la nostra risposta – fisiologica, emotiva e mentale – allo stimolo diventerà meno intensa e sempre meno disturbante (estinzione della risposta). Solo a questo punto il nostro comportamento può finalmente cambiare!

Questa la cornice teorica generale. Nella pratica clinica il trattamento va condiviso passo per passo, attraverso l’utilizzo di esposizioni graduali e guidate, che possano lentamente accompagnare la persona affetta da DOC attraverso tutte le fasi successive della terapia:

confrontarsi con le situazioni che ATTIVANO le ossessioni e le compulsioni (“rituali di annullamento”)

ridurre lentamente le compulsioni, con strategie alternative che aiutino a tollerare le sensazioni sgradevoli

– valutare, attraverso l’esperienza e il confronto nel dialogo clinico, l’effettiva veridicità e fondatezza di alcune convinzioni su cui si basano le proprie ossessioni ricorrenti. Le più comuni riguardano: fusione pensiero-azione (“Se penso che potrei prender un coltello e ferire qualcuno, allora vuol dire che potrei realmente farlo!”),  eccessivo senso di responsabilità personale (“Magari ho investito qualcuno con l’auto senza accorgermi e allora devo tornare indietro a controllare”), inaccettabilità che alcuni pensieri possano procurare ansia (“Non ho il controllo di questi pensieri, quindi sono pericolosi!”), difficoltà a tollerare gradi di incertezza inferiori al 100% (“come faccio ad essere sicuro che non andrò all’inferno?“), pensiero magico o superstizioso (“un gatto nero che arriva da sinistra porta male! (da destra no).”).

riscoprire il piacere in altre attività.

Ingredienti fondamentali di questo trattamento sono pazienza e tenacia nel voler combattere i rituali che spesso da lungo tempo accompagnano la vita quotidiana e che sono ormai in grado di dare sufficiente conforto e rassicurazione nei momenti di difficoltà, ma che, ormai lo sappiamo!, tolgono tempo e risorse alla vita..